Sono proprio diventato vecchio e stanco. Ne ho avuto riprova oggi, guardando il video del singolo benefico Do they know it’s Christmas time, a nome di un gruppo di artisti chiamato Band Aid 30.

Conoscete la storia, e se non la conoscete, male, dovreste conoscerla. Trenta anni fa Bob Geldof, all’epoca più che altro quello che aveva dato vita al protagonista dei sogni di Roger Waters, leggi alla voce The Wall di Alan Parker, e l’ex cantante dei Boomtown rats, band non proprio epocale, si accorge che in Africa c’è un sacco di gente che sta male.

E decide di chiamare a raccolta i suoi colleghi per fare una raccolta benefica che farà storia. Primo step il brano di cui sopra, scritto da Bob insieme a Midge Ure (se avete pensato “quello di Breathe, la colonna sonora della pubblicità degli Swatch” siete un po’ più giovani di me, ma potete tranquillamente cominciare a ritenervi vecchi anche voi), che vede uno a fianco all’altro tutti gli alfieri del pop inglese dell’epoca.

Andatevi a vedere il video, e se, come me, siete nati nel ‘900, non potrete che commuovervi, anche di fronte all’indubbia bruttezza del brano e ai look improbabili dei vari Bono, George Michael, Boy George, Simon Le Bon e affini. Ci sono quasi tutti, confermo, e se me lo vedo sono ancora capace di riconoscerli tutti, per nome.

Il brano ha avuto ottimi esiti commerciali, è storia, e il caro Bob (vi consiglio di andarvi a cercare un mediometraggio che porta lo stesso titolo, Bob, in cui lo stesso Geldof, impigliato in una serata storta nella provincia inglese, durante la quale rimane a piedi nel mezzo del nulla, entra in un pub dove sta avendo luogo una tristissima gara di sosia e, disperato, decide di partecipare interpretando il sosia di se stesso, ovviamente perdendo, dove Geldof, dicevo, ironizza sul suo essere diventato trent’anni fa, una sorta di epigono della beneficenza un tot al chilo) e il sodale invisibile Midge optano per alzare l’asticella, finendo per organizzare il Live Aid, il più grande evento benefico dal vivo di tutti i tempi, con centinaia di ospiti tra il Wembley Stadium di Londra e il JFK Stadium di Philadelphia, a cantare per sensibilizzare il Pianeta sui problemi degli ultimi.

È il 13 luglio 1985. In mezzo, per la cronaca, c’è stato Usa for Africa, versione americana della faccenda, con Michael Jackson e Lionel Richie che hanno scritto We are the world, mica bruscolini (da noi qualcuno proverà con una versione un po’ imbarazzante di Nel blu dipinto di blu, cui risponderanno gli Squallor con la assai meglio riuscita Usa for Italy).

Arriviamo a noi, ricordando una replica di Band Aid, Do they know etc etc, nel 2004, per il ventennale, roba che vedeva cantare i Travis e le Sugababes, e scusate se non cito altri nomi, ma il solo rivederlo mi ha procurato disorientamento e perdita della lucidità.

Oggi, quindi. Un gruppo di giovani artisti, capitanati dal solito Bob Geldof, Midge Invisible Man Ure, e dall’altrettanto solito e altrettanto non più giovane Bono, un po’ onnipresente quando si tratta di buone cause, è noto, ma anche da una quantomai sprint Sinead O’Connor, lanciata in gorgheggi non proprio equilibratissimi, da Chris Martin dei Coldplay, che qui vince su tutti, e da Roger Taylor dei Queen (tranquilli, non parlerò dei Queen) si lanciano nell’ennesima versione del brano, chiamando a raccolta i ragazzi del pop di oggi.

Nomi come Ed Sheeran, Rita Ora, Emeli Sande, Ellie Goulding, Bastille, Clean Bandit, Elbow e One Direction. Ora, intendiamoci, quando ho detto sopra che non ho riconosciuto dei giovani nel momento in cui hanno tirato fuori i propri talenti, ho un po’ esagerato, sapete che amo giocare coi paradossi. Diciamo, però, che molti non li ho riconosciuti, a partire dai Clean Bandit, quartetto di pop elettronico che flirta con la classica che in UK ha superato il milione di copie con la hit Rather be, per dire, o dello stesso E Sheeran, di cui dovrei riconoscere la voce, quantomeno, senza problemi (la sua ex, Ellie Goulding l’ho riconosciuta, confesso).

Idem per Rita Ora, non fosse per le volte che mi sono visto Black Widow di Iggy Azalea. Invece niente. Ho visto il video, che non mi è piaciuto, perché troppo simile ai suoi predecessori, ho ascoltato il brano, che non mi è piaciuto perché decisamente più brutto dei suoi predecessori, e non ho riconosciuto quasi nessuno.

Bono, la O’Connor, Martin e gli One Direction, loro sì, poi il vuoto. L’ho anche scritto su Facebook, e si è aperta una simpatica querelle con l’amministratore delegato della Wea, Marco Alboni, che si meravigliava, diciamo così, che io non avessi riconosciuto i Clean Bandit. Ho alzato le mani, perché non solo non li avevo riconosciuti, ma non sapevo proprio chi fossero, colpa mia, e del suo ufficio stampa che evidentemente non ha fatto esattamente un ottimo lavoro.

Poi è intervenuto Luca De Gennaro di MTv, da un cui post ero partito, per sottolineare come entrambi, non proprio teen ager, faticassimo a riconoscere quei visi. Il buon Luca ha citato il gossip blogger più famoso al mondo, Perez Hilton, il quale, parlando dei vari Usher, Drake, Jason De Rulo e Chris Brown li ha definiti “i ragazzi intercambiabili”. Ecco, mettiamola così, io sono vecchio e stanco, loro intercambiabili. A ognuno il suo.

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