Ci risiamo con i disastri dei sistemi informatici. Questa volta è toccato all’informatica di natura pubblica, nel recente passato era stata la volta di quella privata.

Forse il problema non è nella tipologia dei soggetti che realizzano questi sistemi informatici, anche se giustamente bisognerebbe considerare meglio se la presenza sul mercato di alcune “chimere” sia positiva o meno.

Forse il problema è nel pensare che l’informatica sia un facile modo di tagliare sui costi (cioè avere meno personale) e non riuscire a capire che quel chilo e mezzo scarso di materia grigia che hanno le persone ha una capacità di adattamento e di comprensione delle situazioni che neanche la tonnellata e mezzo del supercalcolatore “Watson” riesce ad eguagliare. Oltretutto con un costo enormemente inferiore.

È certamente vero che l’informatica è un modo di acquisire maggiore produttività.

Diversi studi indipendenti hanno indicato che nel decennio tra il 1990 ed il 2000 la crescita di produttività del lavoro dovuta alla tecnologia informatica è stata mediamente del 40% nell’Europa e del 55% negli USA (con un’accelerazione nella seconda metà del decennio). Allargando l’analisi al periodo 1985-2004, in Europa l’aumento di produttività in questo intervallo temporale è dovuto per il 50% all’informatica, mentre negli USA la quota dovuta all’informatica è dell’80% [1, 2, 3, 4, 5].

Però se non si capisce che l’informatica è nulla senza il controllo dell’uomo continueremo a sprecare milioni di euro (o di dollari).

Quando sono in gioco compiti cognitivi più complessi l’automazione dell’informatica sta tentando di sostituire l’intelligenza umana con una macchina: si tratta di un drammatico cambiamento di paradigma che la società contemporanea non ha ancora pienamente assorbito e compreso. Le aziende che non hanno competenze ICT possono difficilmente migliorare la loro produttività semplicemente investendo nelle tecnologie digitali. Esse hanno bisogno di un appropriato livello di investimento in servizi di supporto.

Ne ho già parlato su queste colonne recentemente, vi invito ad approfondire.

Proprio per cercare di far capire cosa vuol dire far fare qualcosa ad una macchina abbiamo avviato recentemente col Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) il progetto Programma il Futuro. Realizzato dal CINI (Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica – un esempio di informatica pubblica che funziona!) il progetto vuole portare in tutte le scuole il pensiero computazionale.

Il pensiero computazionale è utile a tutti. Qualunque lavoro uno studente di adesso vorrà fare da grande, è indispensabile una comprensione dei concetti di base dell’informatica. Esattamente com’è accaduto nel passato per la matematica, la fisica, la biologia e la chimica. Ve lo avevo anticipato e se ne parla più diffusamente su questa pagina del sito.

Abbiamo anche formulato, come contributo al programma La Buona Scuola, una proposta per l’introduzione della formazione al pensiero computazionale nei programmi scolastici. La potete leggere su questa pagina, cliccando su “qui una prima proposta”. Per supportarla è necessario cliccare sul “cuore”.

Se avremo successo nel coinvolgere tutte le scuole in questa iniziativa (dateci una mano facendo girare la notizia), quando questi bambini saranno diventati grandi riusciranno a governare la realizzazione di sistemi informatici migliori. Ed avremo una società in cui certamente l’informatica funziona meglio.

Se sarà anche una migliore società dipenderà, come sempre, dall’essere umano. La storia insegna che l’impatto sull’umanità di qualunque tecnologia dipende sempre dal nostro libero arbitrio.

[1] S.D. Oliner, D.E. Sichel: The Resurgence of Growth in the Late 1990s: Is Information Technology the Story?, Journal of Economic Perspectives, 2000.

[2] S.D. Oliner, D.E. Sichel: Information Technology and Productivity: Where Are We Now and Where Are We Going?, Economic Review, Federal Reserve Bank of Atlanta, 2002.

[3] W.D. Jorgenson, M.S. Ho, K.J. Stiroh: Projecting Productivity Growth: Lessons form the U.S. Growth Resurgence, Economic Review, Federal Reserve Bank of Atlanta, 2002.

[4] Bart van Ark, Johanna Melka, Nanno Mulder, Marcel Timmer and Gerard Ypma: ICT Investments and Growth Accounts for the European Union, Research Memorandum GD-56, Groningen Growth and Development Centre, 2003.

[5] A. Colecchia, P. Schreyer: ICT Investment and Economic Growth in the 1990s: Is the United States a Unique Case? A Comparative Study of Nine OCSE Countries, OCSE STI Working Paper, 2001/7, OCSE, Paris.

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