Quasi 15 anni, in media, per realizzare le opere più grandi. Un netto rallentamento rispetto al 2009, quando per completarne ne bastavano 11. Peggio ancora, il 42% del tempo trascorre senza che venga smosso un centimetro di terra né venga posata una pietra: serve solo per gli adempimenti burocratici necessari a passare da una fase dell’opera alla successiva. Come dire che i “mesi morti” tra il progetto preliminare e quello definitivo, tra l’aggiudicazione del bando di gara e l’avvio dei lavori e tra questo e il momento in cui l’infrastruttura viene inaugurata ed è utilizzabile dai cittadini riescono quasi a raddoppiare la lunghezza complessiva dell’iter. A rivelarlo è il rapporto “I tempi di attuazione e di spesa delle opere pubbliche” del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del ministero dello Sviluppo, che ha preso in esame oltre 35mila opere realizzate in Italia per un valore economico complessivo di 100 miliardi di euro, finanziati sia con fondi europei sia con risorse nazionali.

Il corposo documento spiega innanzitutto che le opere dal costo superiore ai 100 milioni di euro vengono portate a termine mediamente in 14,6 anni. Mano a mano che l’importo si riduce, si accorciano anche i tempi di consegna, ma non in modo proporzionale: per esempio un’infrastruttura da 5-10 milioni richiede comunque oltre 7 anni di tempo. La media è di 4,5 anni, di cui ben 2,6 per la progettazione, 0,5 per l’affidamento e solo 1,4 per l’effettivo svolgimento dei lavori. E comunque per ogni classe di importo si registra un allungamento dei tempi rispetto al 2009. Per le opere di maggiore dimensione economica l’incremento è stato superiore al 30% nel triennio 2009-2013. I più lunghi in assoluto sono i lavori per i progetti di trasporto, i più complessi, mentre i più rapidi sono gli interventi di edilizia (in media 3,7 anni) e quelli di difesa del suolo (4 anni). Il rapporto evidenzia poi come gli amministratori sbaglino quasi sempre a stimare i tempi di realizzazione, che iniziano sempre almeno un anno dopo rispetto alle previsioni.

Un altro tasto dolente è che quando i cantieri finalmente chiudono, i rubinetti dei finanziamenti rimangono invece aperti: in particolare resta ancora da spendere poco meno del 30% del costo totale dell’opera. Questo perché, finiti i lavori, l’intervento è tutt’altro che concluso. Restano fuori i collaudi, le forniture accessorie, il pagamento dei saldi finali e altre voci di spesa. Così, per esempio, un intervento del valore tra i 50 e i 100 milioni di euro ha in media una fase lavori che dura 5,4 anni, ma per completare la spesa ne servono 9,2 anni. “La lunghezza di questi tempi”, si legge, “deve spingere ad un rafforzamento, anche a valle della chiusura dei lavori, dell’azione di vigilanza e monitoraggio degli aspetti economici degli interventi, al fine di accelerare le procedure”.

L’analisi per territorio mette poi in luce che nelle Regioni settentrionali i tempi di attuazione delle opere (e di completamento della spesa) sono mediamente più brevi, mentre i ritardi maggiori di registrano in Sicilia, dove la durata netta è passata dai 5,6 anni del 2011 ai 6,9 anni del 2013. Rispetto alla tipologia di ente attuatore, invece, le analisi hanno mostrato performance simili sia che dietro l’opera ci sia lo Stato, sia una Regione, un ente locale o un concessionario. A fare la differenza, dunque, sembra essere più che altro l’area geografica. O meglio il “sistema territoriale“, costituito da fattori socio-economici, capacità amministrative, clima, conformazione dei terreni.

Il quadro complessivo, come riconosce il rapporto stesso, è tutt’altro che roseo. Emergono “difficoltà nel dare esecuzione a programmi di investimenti pubblici in modo efficiente (capacità di accrescere la quantità o la qualità delle realizzazioni o dei risultati senza aumentare le risorse utilizzate) ed efficace (capacità di produrre le realizzazioni ed i risultati attesi)”, tempi di attuazione troppo lunghi, tendenza dei costi a lievitare in modo incontrollato in corso d’opera.

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