Luciano Violante conferma davanti ai giudici del processo Borsellino quater, nell’aula bunker del carecere di Rebibbia a Roma, il ricordo di Giorgio Napolitano: “Non parlai con il presidente della Camera (all’epoca lo stesso Napolitano, ndr) della richiesta di Mario Mori di far sentire Vito Ciancimino dalla commissione antimafia”, di cui Violante era presidente. “Io probabilmente gli dissi solo che avremmo sentito Ciancimino in commissione antimafia”. L’esponente Pd ha dichiarato anche ai pm quanto raccontato a “Un giorno da pecora” nel 2010 e cioè che “Ciancimino non fu il solo a chiedermi un contatto. Anche Vittorio Mangano mi chiese un incontro tramite i suoi familiari. Io ero allora vicepresidente della Camera, quindi dopo le elezioni, e non accettai la richiesta”. Quanto a Mori, Violante racconta: “L’ho conosciuto il capitano Mario Mori quando ero magistrato a Torino. Lo ricordo insieme al generale Dalla Chiesa. I collaboratori più validi di Dalla Chiesa erano Mori e il capitano Gallitelli, oggi comandante generale dell’arma. Io però – ha aggiunto Violante – preferivo lavorare con la polizia mentre Gian Carlo Caselli lavorava con i carabinieri di Dalla Chiesa. Secondo me dalla Chiesa agiva con troppa autonomia e invece io volevo dirigere le indagini”. L ‘avvocato di parte civile Fabio Repici, della parte civile Salvatore Borsellino, ha fatto notare che Mori non lavorava come carabiniere a Torino negli anni Settanta, indicati da Violante per definire il periodo in cui avrebbe conosciuto Mori come collaboratore di Dalla Chiesa.

Davanti alla corte ha poi deposto Nicolò Amato, capo del Dap improvvisamente sostituito da Adalberto Capriotti proprio nel periodo caldo della trattativa: “C’è un fatto inquietante: il 30 luglio io scrivo un appunto per chiedere al ministro Claudio Martelli di firmare un decreto, che gli scrivo e allego in bozza, mediante il quale avrei avuto il potere di applicare il regime del 41 bis, senza ogni volta chiedere un apposito decreto al ministro come si faceva allora, a tutti i mafiosi in una serie di istituti penitenziari. Pensavo si dovesse dare una risposta dura. Erano passati pochi giorni dalla strage di via D’Amelio, due mesi dopo Capaci. Invece con mia sorpresa la mia proposta non fu accolta. Il 13 agosto il capo di gabinetto mi trasmise due pareri negativi dell’ufficio legislativo e della direzione affari penali. Io a quel punto scrissi a Martelli che ‘appare necessario che la questione venga portata alla valutazione politica dell’onorevole ministro'”. Amato aggiungeva nella lettera che c’era stata una riunione l’11 agosto 1992 nella quale era stata ribadita la linea della fermezza e nella quale qualcuno aveva convinto il ministro che tale linea era già stata attuata. Mentre non era vero.

“Il fatto è che il ministro non ha firmato il fatto è che ci sono stati questi interventi impropri di altri uffici”, ha aggiunto l’ex direttore del Dap. “Dai miei recenti incontri con Martelli ho compreso che allora avrebbe potuto decidere diversamente se fosse stato informato diversamente. Ma questa è una mia sensazione”, ha concluso Amato. Il dirigente fu sostituito nel 1993 dal ministro della Giustizia Giovanni Conso, dopo 11 anni di permanenza, su input del presidente Oscar Luigi Scalfaro, e con la consulenza del capo dei cappellani carcerari monsignor Cesare Curioni. Fu proprio il cappellano a indicare il nome di Adalberto Capriotti, sentito ieri come testimone in quanto non indagato a Palermo, come inizialmente era stato scritto. Pochi giorni dopo l’insediamento al Dap, Capriotti propose al ministro di non rinnovare il 41 bis a 50 reclusi.

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