Il giro di vite anticorruzione nella Cina continentale, le proteste a Hong Kong e il nuovo divieto di fumare all’interno dei casinò hanno creato una “tempesta perfetta” per l’industria del gioco di Macao. A ottobre, le entrate sono infatti precipitate del 23,2 per cento anno su anno, attestandosi a 28,025 miliardi di patacas (2 miliardi e 800 milioni di euro).

Macao ha da tempo sorpassato Las Vegas come capitale del gioco mondiale, ma questo è il quinto calo mensile consecutivo di introiti, nonché il maggiore da quando l’ex colonia portoghese ha iniziato a raccogliere dati, nel 2005. Si consideri che nel 2009, all’indomani della crisi finanziaria globale, il fatturato scese solo del 17,1 per cento. A parziale consolazione, va però detto che la contrazione è in linea con le previsioni degli analisti, che stimavano un calo del 22 per cento circa. Il segretario di Macao per l’Economia e la Finanza, Francis Tam Pak-Yuen, mette comunque tutti sul chi va là: “Il rallentamento nella crescita dei ricavi legati al gioco continuerà per un certo periodo di tempo”, ha dichiarato.

Oltre al giro di vite anticorruzione, ormai strutturale, vanno sottolineate le altre due cause che gli esperti mettono all’origine della riduzione delle entrate. Se le proteste di Hong Kong avrebbero infatti ridotto il numero dei cinesi continentali che acquistano il pacchetto turistico “Hong Kong più Macao” durante le feste, dall’altra parte c’è il bando del fumo, entrato in vigore il 6 ottobre: il poker senza bai jiu (un liquore cinese) e sigaretta non esiste proprio. Phoebe Tse, una analista di Barclays, parla di “qualche impatto sul comportamento dei giocatori provocato dal divieto di fumare”.

La notizia ha per ora avuto l’effetto di ribassare tutti gli operatori di casinò: Wynn Macau e Melco Crown Entertainment sono entrambi scesi del 3.4 per cento. Sands China ha perso il 3.3, Galaxy Entertainment Group il 2.8, SJM Holdings il 2.3 e MGM China, per sua fortuna, solo lo 0.6. L’Hang Seng Index, quello della borsa di Hong Kong, è sceso 0,29 per cento a causa del tonfo dei padroni del gioco. Quelle che vengono a mancare sono soprattutto le “grandi balene”, cioè i giocatori vip, colpiti dalla grande campagna anticorruzione del governo cinese. Quelli che non sono già finiti nei guai, volano bassi ed evitano di ostentare giocate milionarie nei casinò di Macao.

Per il quarto trimestre dovrebbe andare anche peggio, visto che il mese prossimo Xi Jinping andrà nell’ex colonia portoghese per celebrare il quindicesimo anniversario del passaggio di consegne ed è parecchio improbabile che in quei giorni ci siano ricchi cinesi desiderosi di farsi vedere in giro per le sale da gioco. Al di là dei casinò di Macao, usati spesso come “lavanderia” da chi vuole riciclare denaro (magari pubblico) guadagnato illegalmente, va ricordato che la campagna anticorruzione è anche una questione morale.

Tra gli aspetti più curiosi c’è infatti anche il tentativo di scoraggiare i funzionari – che spesso coincidono con i ricchi o ne sono comunque imparentati – a giocare a mahjong e a poker. Un articolo del Quotidiano del Popolo riportava qualche giorno fa le parole di Xie Chuntao, professore alla rinomatissima scuola centrale del Partito comunista, secondo cui “la ricerca di ‘piccoli brividi’ a mahjong e poker” va assolutamente fermata. Per ora è solo un “consiglio”.
Di fatto però sta affermandosi l’idea che i funzionari devono avere una moralità anche superiore rispetto alla gente comune: né donne, né gioco, né alcol. La settimana scorsa, Wang Qishan, il grande fustigatore della Commissione di ispezione e disciplina ha detto esplicitamente che la campagna anticorruzione “non finirà mai”. Il rischio è che, per Macao, i bei tempi siano davvero finiti.

di Gabriele Battaglia

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