E’ il vertice di maggioranza, ma sembra un vertice delle seconde linee della Prima Repubblica. Per una volta il giovane-nipote Matteo è al tavolo con i “nonni” della Prima Repubblica. Palazzo Chigi, ore nove della sera, Matteo Renzi, il premier della “rottamazione”, del “cambia verso”, dell’Italia che riparte, convoca i capigruppo della compagine di governo per discutere della riforma elettorale, e in particolare di alcuni tecnicismi, soglie e preferenze, che avrebbero fermato l’iter di riforma. “Maggioranza, chi?”, ironizza un ex Dc che frequenta abitualmente il Transatlantico.

Intorno al tavolo saranno almeno 15, compresi Renzi e la delegazione del Pd (Guerini, Zanda, Speranza). In prima fila certamente il Ncd di Angelino Alfano, rappresentato per la grande occasione dalla pasionaria Nunzia De Girolamo e da Maurizio Sacconi. Il partito del ministro dell’Interno chiede rispetto e soprattutto che le soglie di sbarramento per accedere al prossimo giro in Parlamento siano  al di sotto del 5 per cento. Altrimenti – ripetono da giorni con un filo di minaccia – “se il premier e Berlusconi pensano di agire in autonomia risponderanno delle ovvie conseguente”. Fin qui nulla di nuovo per gli altoparlanti di radio Parlamento. Il colpo d’occhio arriva, invece, scorrendo la lista degli altri partecipanti che dovrebbero decidere le sorti della riforma elettorale. Partecipanti che ricordano più le riunioni all’Hotel Minerva della fu democrazia cristiana, che la gioventù della Leopolda di qualche settimana fa.

Scorrendo la lista, infatti, si trova come rappresentante dell’Udc, Lorenzo Cesa, che tra Parlamento italiano ed europeo ha già collezionato quattro legislature. Lucio Romano e Lorenzo Dellai, entrambi eletti fra le fila di Scelta Civica, sono in quota Popolari per l’Italia, costola che presto si staccò dal partito fondato da Mario Monti. E poi c’è chi dentro Scelta Civica c’è rimasto, Gianluca Susta. Non finisce qui, però. Perché al tavolo allargato ai micromovimenti modello Prima Repubblica si annoverano anche il Centro Democratico di Bruno Tabacci, un volto “nuovo” della Repubblica italiana, già consigliere comunale di Mantova nel 1970, uno di quelli che varcò per la prima volta  l’ingresso di Montecitorio nel lontano 1992. E poi Riccardo Nencini, leader dei socialisti, e Karl Zeller, che rappresenta il Suedtiroler Volks Partei. Per non parlare di Pino Pisicchio, rigorosamente di estrazione democristiana tendenza Donat Cattin (in precedenza moroteo), ras delle preferenze in Puglia, cinque legislature nel curriculum (entra alla Camera per la prima volta nel 1987), e  seduto al tavolo in qualità di presidente del gruppo misto: rappresenta allo stesso tempo i transfughi di Sel, come Claudio Fava e Titti Di Salvo, ma anche ex pentastellati, come Alessio Tacconi, che non hanno mai votato con la maggioranza di governo. Assente giustificato l’ex ministro della Difesa Mario Mauro il quale mette a verbale dei taccuini de ilfattoquotidiano.it: “No, non partecipo, per me è irrilevante. Non mi interessa affatto che si abbassino le soglie al 3% per accedere in Parlamento. Ciò serve per la rinascita di un pentapartito attorno al Pd e per gli appassionati delle poltrone e degli strapuntini”.

Twitter: @GiuseppeFalci

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