È uno dei guru dell’insigne e maestoso mondo del vino. L’attesa di un suo giudizio fa tremare i polsi e le caviglie dei produttori più esperti e blasonati. Daniele Cernilli (in arte, Doctor Wine) è stato incluso, per tre anni consecutivi, nella classifica di Decanter tra le cinquanta persone più influenti dell’enologia. Insegnante di lettere in una scuola media di Ariccia nella sua vita precedente, dopo aver incontrato Luigi Veronelli ha intrapreso una carriera che lo ha portato a degustare più di 150 mila vini, con una sensibilità e una memoria eminenti, passando “dallo spirito all’alcol”. È la persona al mondo che ha probabilmente concorso alla classificazione del maggior numero di vini italiani in assoluto.

Eppure, scrivendo la sua Guida essenziale ai vini d’Italia 2015 (edizioni Mondadori), Doctor Wine si rivolge a un pubblico di appassionati ben più ampio, non esclusivamente agli esperti, portando avanti un lavoro di selezione indispensabile in un panorama produttivo sempre più vasto. Una sorta di bussola alla portata (quasi) di tutti.

Doctor Wine, non crede che esistano già molte guide di vini in Italia?
Proprio per questo, ho scritto una guida diversa. Quando l’informazione è molto vasta, è difficile districarsi e gerarchizzare. E allora, mi sono messo nei panni del neofita, provando a suggerire un numero ristretto di vini, come quando i miei amici mi chiedono qualche “dritta.” Ho selezionato, con i miei collaboratori, 871 aziende italiane che stimo, individuando i loro vini di più alto livello, ma anche quelli con un miglior rapporto qualità/prezzo. Per ogni produttore ho indicato tre, al massimo cinque bottiglie, per un totale di circa 2.500 vini. Una scrematura molto drastica, frutto dell’esperienza di tanti anni. D’altra parte una guida deve guidare. E avere il coraggio di fare delle scelte.

Ma davvero avete assaggiato tutti quei vini?
In realtà, ne abbiamo assaggiati almeno il doppio, andando in qualche modo già a “botta sicura”, visto che conoscevo il livello qualitativo delle aziende. Abbiamo cercato di ridurre al minimo la richiesta di campioni, preferendo essere presenti a tutte le degustazioni pubbliche, le anteprime, i concorsi e le grandi fiere. Alla fine, siamo riusciti a mettere insieme un libro imponente, lavorando serenamente e con grande indipendenza.

Anche un esperto come lei, però, avrà ogni tanto delle sorprese…
Sono rimasto piacevolmente colpito dalle performance del Piemonte, che ha saputo valorizzare delle annate favorevoli. Anche la Sardegna sta lavorando molto bene, con piccoli produttori (soprattutto nella zona del Cannonau) che stanno qualitativamente crescendo, provando ad accennare coraggiose iniziative imprenditoriali. Un po’ quello che è successo nelle zone dell’Irpinia quindici anni fa o in Sicilia negli anni Novanta.

Dove vede ulteriori importanti margini di sviluppo?
Mi piacciono molto (e stanno crescendo) i vini a base Primitivo in Puglia, ma anche le espressioni di Sangiovese al di fuori dei confini tradizionali e la zona della recente DOC Valdarno di Sopra (recente, ma già citata a questo proposito da Cosimo III). C’è anche un grande successo per il mercato del Lugana, prodotto vicino al lago di Garda e interessante esempio di bianco lombardo, accanto ovviamente alle bollicine Franciacorta. Purtroppo, invece, in Lazio assistiamo a una drastica riduzione quantitativa dei vini dei Colli Romani: alcune zone sono minacciate dall’espansione urbanistica della Capitale.

Passiamo al concreto e sfruttiamo l’esperto. Se invito a cena una bella ragazza (o amici importanti), che cosa posso offrire? Mi faccia fare bella figura…
Suggerirei una scelta inaspettata, inconsueta. Magari un vino del centro della Sardegna, un Mandrolisai, oppure un Cirò calabrese, un Montecucco toscano o anche un Boca piemontese, che ha un profilo quasi di Borgogna. Attenti, però, a non imparare i nomi a memoria soltanto per sembrare esperti: i vini vanno assaggiati davvero. Altrimenti, si rischia di fare come quegli esperti di jazz che non ascoltano la musica, ma guardano solo le etichette.

Infine, quale vino ricorda con maggiore emozione? Capisco che sia difficile, ma delle scelte vanno pur fatte…
Barolo Monfortino del 1961: ho bevuto l’anno scorso l’ultima bottiglia in mio possesso. E poi, un meraviglioso siciliano Faro Palari del 2009. Farebbe impazzire un qualsiasi esperto francese, perché non sarebbe in grado di collocarlo.

di Danilo Poggio

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