Qualche giorno fa avevo dipinto un ritratto di Reyhaneh Jabbari, la ragazza impiccata il 25 ottobre su ordine degli Ayatollah dell’Iran, perché fosse pubblicato su questo blog. Reyhaneh si era permessa di reagire ad un tentativo di stupro uccidendo il suo aggressore. Costui, non va dimenticato come fanno in gran numero gli accusatori della giovane donna, anche italici, era un ex agente dei servizi segreti. I parenti dell’aggressore promettevano il perdono alla donna; bastava che lei dichiarasse che l’intenzione dell’uomo non era di farle violenza sessuale. Solo così avrebbe avuto salva la vita. Ma la ragazza si rifiutò: “Io mi sono difesa proprio per non subire lo stupro”. E così venne impiccata.

Di lì a poco, ecco apparire i primi commenti al mio scritto. Tre di questi prendevano di mira l’introduzione al ritratto che ricordava come la tradizione di punire chi si rifiuta di accettare la violenza di un aggressore, specie se nobile e potente, provenisse di lontano. Tanto che già Federico II di Svevia nel 1231 aveva promulgato un editto, la famosa defensa (difesa) secondo il quale chi si trovasse a subire violenza bastava chiamasse a difesa il nome del sovrano, l’imperatore Federico, e versasse una tassa di duemila augustari, ed ecco che chi si fosse permesso di aggredire l’aggressore sarebbe stato immediatamente punito con la morte. Uno di quei tre oppositori mi smentiva, producendo la voce dell’Enciclopedia Treccani in cui si dichiara: “Defensa: Istituto giuridico dell’Italia meridionale, regolato anche dal Liber constitutionum di Federico II, per il quale chi stava per subire un danno ingiusto, nella persona o negli averi, otteneva protezione invocando il nome del sovrano e imponendo una somma che l’aggressore doveva pagare se persisteva nell’azione”.

A questo punto bisogna che io intervenga inserendo anche il testo di Ciullo o Cielo d’Alcamo, giullare siciliano contemporaneo dell’imperatore, che commenta in modo divertente e graffiante la legge della defensa e rivela quella che era nei fatti la sua reale applicazione. Stiamo parlando di Rosa fresca aulentissima, un contrasto fra una giovane donna e un uomo che la corteggia buffonescamente sotto la sua finestra.

Dopo le prime schermaglie fra i due, la giovane minaccia con ironia il suo spasimante, avvertendolo che, se i parenti di lei lo colgono, lui potrebbe finire molto male e dovrà sbrigarsi a fuggire così come è venuto. Ecco i versi originali:

se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,
guarda non t’ar[i]golgano questi forti cor[r]enti.
Como ti seppe bona la venuta,
consiglio che ti guardi a la partuta».

In poche parole, ti conviene tagliare la corda, perché i miei parenti ti bastonerebbero!

E il ragazzo risponde sbruffone – attenti, recito il testo originale: “Se i tòi parenti tròvami e che i pòzzon fare?” [Se i tuoi parenti mi trovano mentre ti faccio violenza e che mi possono fare?]

“Una defènsa méttoci di dumìli’ [duemila] augostàri! No’ mi toccàra pàtreto per quanto avere ha ‘n Bari. Viva l’imperador grazie a deo! Intendi, bella quel che te dico eo?” E non si capisce un ostrega!

La difficoltà del comprendere il testo non è dovuta a una particolare astrusità di linguaggio, ma dal fatto che ci troviamo dinanzi a eventi storici e leggi di cui nulla sappiamo, e normalmente gli insegnanti si guardano bene di svelarcene il significato. Cerchiamo di scoprirlo insieme: “Se i tuoi parenti mi sorprendono mentre ti faccio violenza e che mi possono fare? Una defènsa mèttoci di dumìli’ [duemila] augostàri!”

Cos’è l’augustaro o augustano? Era la moneta dell’Augusto inteso come Federico II: infatti siamo nel 1231-32, proprio al tempo in cui in Sicilia governava Federico II di Svevia. Duemila augustàri equivalevano, più o meno, al costo di due cavalli di razza.

E che cosa è questa defènsa? Fa parte di un gruppo di leggi promulgate a vantaggio dei nobili, dei ricchi signori-possidenti e dei mercanti d’alto livello, dette “leggi melfitane”, volute proprio dall’imperatore svevo. In poche parole, si tratta del dono di un privilegio particolare a difesa degli altolocati.

Ecco allora che un ricco poteva violentare tranquillamente una ragazza; bastava che nel momento in cui il padre o altri parenti dell’aggredita fossero sul punto di intervenire, il violentatore estraesse duemila augustàri, li stendesse vicino al corpo della ragazza, sollevasse le braccia e declamasse: “Viva lo ’mperadore, grazi’ a Deo!” Il rito del versamento della defènsa era sufficiente a salvarlo. Era come avesse detto: “Attenti a voi! Chi mi tocca verrà subito impiccato!” Infatti chi toccava l’altolocato che aveva pagato la tassa veniva immediatamente appeso al ramo dell’albero più vicino.

Ad ogni modo questo vi fa capire quale fosse la chiave della “legge”, la brutalità di un espediente, la defènsa, che offriva il vantaggio spudorato, solo a coloro che possedevano il denaro per pagare la tassa all’imperatore, di uscire indenni da ogni atto violento verso donne e deboli in genere.

E chi se non un giullare autentico, come il nostro Ciullo o Cielo d’Alcamo, poteva rischiare esibendosi sulla piazza, di svelare al popolo minuto, con la sola voce e i gesti di tutto il suo corpo, quale fosse la reale condizione di “cornuto e mazziato” per ogni suddito privo di potere?

Ed ecco come una legge nata per proteggere le vittime, diventava una vera e propria garanzia di immunità per gli stupratori, o meglio per quelli che si potevano permettere di spendere duemila augustari pur di non venir condannati. Allo stesso modo, oggi come allora, chi gestisce il potere interpreta a suo modo le leggi che difendono i deboli e ne fa armi con le quali mantenere il popolo nell’impossibilità di reagire e di far valere i propri diritti. E questo accade perché il popolo stesso non conosce le norme che lo tutelano, non si interessa, non si informa, e crede a tutto ciò che la propaganda dice loro. “Questa è un’ingiustizia!”. “No, no, è tutto legale, leggi qua: decreto legislativo 7248 del 24 marzo 2011, comma 4, sottocapitolo 2 bis”. E questo avviene anche per le leggi antiche, che molti si limitano a studiare in modo accademico e limitato, e non sono in grado di comprendere la loro vera natura e ascoltare le testimonianze di chi cercava, come il giullare Ciullo d’Alcamo, di informare la gente dell’uso distorto che i potenti fanno delle leggi e delle costituzioni.

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