Cornuti e mazziati, si direbbe in questi casi: cittadini che si trovano, sostanzialmente, a pagare due volte. Il pronunciamento della Cassazione – confermando la sentenza del Consiglio Stato – mette fine alle speranze di tre Comuni cremonesi di evitare di restituire i rimborsi ottenuti da regione Lombardia a seguito della alluvione del 2000. In occasione della quale, infatti, finì sott’acqua una zona golenale talmente vasta da abbracciare i centri di San Daniele Po, Torricella del Pizzo e Martignana di Po. Mezzo milione – per i tre paesi l’esborso rispettivamente di 380mila euro, 77mila e 56mila – che la Regione aveva chiesto indietro, dopo aver assegnato, allora, per l’emergenza, le cifre richieste per risistemare cascine, rimesse e abitazioni sommerse da acqua e fango.

A detta del Pirellone mancavano le pezze giustificative di alcuni importi elargiti. Non sarebbero state effettuate le rendicontazioni in maniera corretta, la sintesi della sentenza della Suprema Corte, dovute ad una “interpretazione errata di un doppio decreto”. “La battaglia – e in prima battuta il Tar ci aveva dato ragione – si è giocata su questo terreno”, spiega Davide Persico, primo cittadino di San Daniele, in sintonia con i colleghi Emmanuel Sacchini e Alessandro Gozzi. Secondo i tre, che all’epoca non erano al timone delle amministrazioni ma si sono trovati in mano la patata bollente, l’iter sarebbe stato completato regolarmente. Qualcuno sostiene addirittura che i Comuni abbiamo velocizzato in assoluta buona fede alcune pratiche, in una situazione di emergenza, forse malconsigliati da funzionari regionali. “Alla fine – sostengono i sindaci – i soldi sono stati effettivamente utilizzati per rimettere in sesto costruzioni ammalorate dall’acqua”. “Il fatto è che il problema va risolto a monte – dice Sacchini -. In futuro non verranno più concessi contributi in golena. I Comuni in queste vicende sono intermediari. Lo stesso Stato indicava di favorire il rientro delle famiglie nelle abitazioni entro Natale e così è stato. Ora proprio su quei lavori ci penalizza. Abbiamo evitato allo Stato le spese da sostenere per ospitare quelle famiglie in albergo. In futuro sappiamo che è meglio mandarle in hotel e attendere che le ditte eseguano i lavori con regolarità. Qui da noi in poche settimane la gente era rientrata in casa, ma per ottenere quel risultato abbiamo agito in emergenza”.

Ma il responso della Cassazione ha dato torto ai tre piccoli centri, che si erano costituiti in giudizio affiancati dall’avvocato Antonino Rizzo: chi ha beneficiato dei rimborsi dovrà restituirli. Sono 55 persone in tutto (una media di oltre 7000 euro a testa) i cittadini di San Daniele coinvolti e chiamati in causa. Con rimborsi che vanno dai 1.000 ai 25.000 euro. “Stiamo portando avanti la trattativa con la Regione, al fine di rateizzare la restituzione della somma, ragionando anche sulle tempistiche”, avverte Persico. Un peso che i Comuni stessi potrebbero portarsi dietro anche per sei anni, visto che una parte dei rimborsi sarà a loro carico. Un ulteriore salasso che rischia di mandare ancora una volta sott’acqua, economicamente stavolta, le finanze locali di tre piccole realtà affacciate sul Grande Fiume.

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