Profanato con 200 simboli celtici il sacrario dei caduti della battaglia partigiana del Monte San Martino. E’ successo lo scorso fine settimana, alla vigilia dell’anniversario di una battaglia combattuta tra il 13 e il 15 novembre del 1943 sulle Prealpi dell’alto varesotto. In quel luogo persero la vita 42 dei 150 partigiani del Cln che stavano tentando di arginare l’inevitabile occupazione tedesca dopo la firma dell’armistizio. 150 uomini arroccati su un monte, contro cui si scagliò la furia di 2mila tra soldati nazisti e repubblichini. Oggi la storia racconta che quella battaglia fu persa ma che il sacrificio non fu vano. Un tributo di sangue che viene commemorato ogni anno, proprio sul luogo di quella battaglia, dove nel dopoguerra è stata ricostruita la chiesetta abbattuta dai nazifascisti.

Ed è lì, in quel luogo dall’alto valore simbolico, che alcuni simpatizzanti neonazisti e neofascisti hanno piantato 200 rune di algiz rovesciate (simboli usati sulle tombe delle SS accanto alla data della morte) ed hanno affisso uno striscione con la scritta “Guerriero d’Europa risorgi”. L’azione è stata rivendicata, con tanto di foto di gruppo e deposizione di corone celebrative, dal Manipolo d’avanguardia di Bergamo. Sulla pagina Facebook dell’associazione è stato postato, assieme alla documentazione fotografica della commemorazione, un lungo comunicato in cui si contesta la storiografia ufficiale. Assieme ai bergamaschi c’erano anche le teste rasate della Comunità militante dei Dodici Raggi (Do.ra.), un gruppo di estrema destra che non ha mai fatto mistero delle proprie nostalgiche simpatie per l’ideologia nazionalsocialista. Gli stessi che il 20 aprile dello scorso anno erano passati agli onori delle cronache nazionali per aver organizzato un maxi raduno di nazi-skin nei dintorni di Varese (leggi), in una data cara a chi si ispira agli ideali nazisti, quella in cui ricorre l’anniversario della nascita di Adolf Hitler.

Non è la prima volta che i nostalgici commemorano a modo loro la battaglia del San Martino. Ma non erano mai andati oltre qualche corona e un paio di striscioni. L’azione messa in atto quest’anno segna l’ennesimo spostamento dell’asticella verso una presenza sempre più visibile e chiassosa, che si richiama in modo sempre più aperto a temi e simbologie cari ai regimi totalitari che in passato hanno già trascinato l’Europa nel baratro. L’Osservatorio democratico sulle nuove destre rileva come “al posizionamento delle rune vanno aggiunte la svastica e il fascio littorio, incisi sulla runa e tracciati sul manifesto divulgato: un continuo uso di simboli che la dice lunga sul percorso intrapreso da questi gruppi, che stanno lavorando alla costituzione di un fronte nazional socialista”.

Il fatto ha scatenato le reazioni politiche, di partiti, sindacati e delle associazioni partigiane, non solo a Varese, ma in tutta la Lombardia. Il presidente provinciale dell’Anpi Varese Angelo Chiesa ha parlato di un “grave fatto infamante”. Chiesa, nel commentare l’episodio, ha ricordato come quella del San Martino “fu la prima battaglia partigiana e nonostante la disfatta inevitabile per la disparità di forze, rimase un esempio seguito da molti”. Poi continua: “Sono trascorsi settantuno anni da allora, tanti partigiani sono morti per cercare di far tornare democrazia e libertà in questo nostro paese. Malgrado questo, dobbiamo ancora vedere rigurgiti fascisti e nazifascisti. La nostalgia verso quella dittatura è di per sé vergognosa”, invitando infine le istituzioni a vigilare “affinché atti infamanti di questo stampo fascista non debbano più accadere”.

Una “ferma condanna per l’oltraggio e la grave provocazione di chiara matrice neo-fascista” è arrivata anche dalla Cgil di Varese e dall’Anpi di Milano. Il 4 novembre al coro dello sdegno si è aggiunta anche la voce del Pd lombardo, con il segretario Alessandro Alfieri che sul punto ha interpellato il governatore leghista Roberto Maroni per chiedere “quali iniziative intenda intraprendere per contrastare e prevenire il ripetersi di simili vergognosi episodi nella Provincia di Varese e su tutto il territorio lombardo”.

Da Maroni, al momento, non sono arrivate risposte. Più tempestiva la reazione dall’associazione culturale Manipolo d’avanguardia di Bergamo, che già nella serata del 4 novembre ha pubblicato un comunicato indirizzato proprio al segretario dem lombardo: “La politica è dialettica e confronto, mai repressione altrimenti, per onestà intellettuale, si dichiari, una volta per tutte, che la democrazia non è altro che una dittatura mal mascherata”. Parole che precedono una citazione di Benito Mussolini, che non lascia spazio ad interpretazioni: “Dichiariamo infine agli avversari che le nostre polemiche e le nostre critiche avranno per base la sincerità, il rispetto di tutte le idee onestamente professate. Cercheremo di tenerci immuni da quello spirito settario, fanatico e giacobino che sembra preludere a una moderna intolleranza rossa. Ma non avremo remissione per i ciarlatani, a qualunque partito si dichiarino inscritti, tutte le volte che andranno tra le folle operaie a cercare applausi, voti, stipendi e clienti”.

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