Associazione a delinquere, false dichiarazioni di redditi per 31 milioni ed emissione di false fatture per 92 milioni. Con queste accuse è finito in carcere a Milano Natale Sartori, messinese, classe ‘58, legato alle figlie di Vittorio Mangano, nonché indagato (e poi prosciolto) per aver favorito la latitanza di Enrico Di Grusa, il genero dell’ex fattore di Arcore. Sartori, ha dimostrato un’indagine della Dia, fino ad almeno gli anni Novanta era in contatto diretto con Marcello Dell’Utri, l’uomo che portò Mangano ad Arcore, oggi condannato definitivo per concorso esterno in associazione mafiosa.

Il campo che unisce Sartori, le figlie dello “stalliere” e Di Grusa è quello delle cooperative di facchinaggio, pulizie, servizi. Nello scorso agosto Cinzia Mangano, una delle tre figlie di Vittorio, è stata condannata in primo grado a Milano a sei anni e quattro mesi per associazione a delinquere. L’inchiesta era partita da una rete di cooperative che, secondo l’accusa, riciclavano denaro sporco anche per aiutare i familiari degli arrestati e i latitanti. Una sorta di succursale della mafia siciliana a Milano, attiva già negli anni ’90. Sartori, inoltre, era stato fotografato nel 2010 dai carabinieri del Ros insieme a Paolo Martino, manager della ‘ndrangheta condannato in secondo grado.

Oltre a Sartori, ora detenuto a San Vittore, altre cinque persone sono finite ai domiciliari nell’indagine, coordinata dal colonnello Gabriele Procucci del nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza e dal pm Carlo Nocerino, che vede 21 indagati. Tra questi un funzionario di Bpm accusato di riciclaggio. L’inchiesta nasce da una segnalazione di Bankitalia su operazioni sospette. Segnalazione a sua volta ricevuta da vari istituti, tra cui Bpm, a proposito del suo dipendente.

Secondo gli investigatori, ci sarebbe stata “un’unica cabina di regia” dietro la frode a gestione ‘familiare’ da 31 milioni di euro che ha portato in carcere Sartori, titolare dell’Alma Group e amministratore di fatto di otto cooperative della “galassia” del gruppo. In cella anche Bruno Righetti, suo uomo di fiducia, mentre sono stati posti ai domiciliari la moglie separata, Provvidenza Giargiana, le loro due figlie Tiziana e Cristina Sartori, e i professionisti Roberto Notargiacomo e Andrea Gorgoglione. Il Consorzio Alma Group, specializzato in pulizie, trasporto merci per conto terzi e movimentazione di magazzino, si è aggiudicato decine di appalti privati, compresi quelli di alcune grandi catene di supermercati come Esselunga, Conad e Il Tirreno. Il gruppo operava ‘a due facce’, scrive il gip Vincenzo Tutinelli: verso i grandi committenti con normali logiche commerciali, ma”‘verso il basso il modus operandi trascende/sconfina nell’illegalità”, con le coop che di fatto diventavano “società a scopo di lucro”.

Secondo l’accusa, ad Alma Group facevano capo otto cooperative fittizie, le quali avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti per 92 milioni, Iva compresa ( e da loro mai versata), a favore di Alma Group consentendo a quest’ultimo di detrarre illegittimamente l’imposta. Si tratta di un sistema fraudolento di cui il “dominus”, si ipotizza, era Sartori.

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