Ci sono almeno trentotto buoni motivi per stare in allerta sull’offerta Rai Way. Tanti sono infatti i fattori di rischio indicati nel prospetto informativo della società delle torri e dei tralicci, che ha avviato lunedì la sottoscrizione dell’offerta pubblica iniziale (Ipo) con l’obiettivo di raccogliere sul mercato circa 290 milioni. Tra le “avvertenze” c’è quella relativa alla politica di dividendo. In conferenza stampa l’amministratore delegato Stefano Ciccotti ha detto che l’azienda che controlla il network di trasmissione della Rai vuole “distribuire il 100% dell’utile pro-forma 2014”, che nei nove mesi si è attestato a 26,9 milioni. Un’affermazione che ha messo in evidente imbarazzo la società, costretta a diffondere una nota in cui nega di aver “assunto impegni” in materia. Il perché è presto spiegato: nelle 534 pagine del prospetto non c’è alcuna indicazione sulle future cedole, su cui il gruppo è anzi decisamente cauto. “Non vi è quindi alcuna certezza”, si legge, “che, alla chiusura di ciascun esercizio sociale, l’Emittente sia in grado di distribuire il proprio utile netto ovvero il consiglio di amministrazione pro tempore in carica proponga all’Assemblea la distribuzione di dividendi”. Un argomento che non piacerà di certo agli investitori istituzionali, cui è rivolto il 90% dell’offerta. C’è quindi il rischio che, come è accaduto nel caso di Fincantieri, venga ampliata la quota destinata ai piccoli risparmiatori sfruttando la clausola di claw-back, una postilla a cui generalmente si fa ricorso quando, appunto, i grandi investitori si ritirano.

Ma non è solo la politica dei dividendi a lasciare perplessi. C’è anche l’utilizzo del ricavato dell’offerta, che, secondo Ciccotti, sarà destinato al prodotto, ma per il prospetto “non genererà proventi a favore dell’emittente, posto che la stessa ha ad oggetto unicamente azioni poste in vendita dall’azionista venditore”. Detto in altri termini, gli introiti dell’operazione, che costa già 600mila euro, finiranno unicamente nelle casse del gruppo guidato da Luigi Gubitosi. E nei forzieri delle banche Imi (Banca Intesa), Mediobanca, Credit Suisse e Leonardo, che intascheranno 8 milioni di commissioni, una cifra vicina all’utile registrato da Rai Way nel 2013 su un fatturato di appena 118 milioni. A questo va aggiunto il fatto che Imi e Mediobanca hanno il doppio ruolo di consulenti della quotazione e banche finanziatrici di una nuova linea di credito da 180 milioni, assieme a Bnp e Ubi.

Tuttavia, a osservare il collocamento Rai Way dal punto di vista di un grande investitore, l’aspetto più preoccupante dell’offerta sta nella lunga parte dedicata al Nuovo contratto di servizio fra Ray Way e la casa madre Rai, che a sua volta ha ancora in corso la rinegoziazione con il ministero dello Sviluppo per il Servizio Pubblico. L’accordo è stato stipulato lo scorso 31 luglio, ma i suoi effetti benefici sono stati applicati già ai conti del 2013 per arrivare al calcolo del valore dell’azienda da presentare agli investitori. Il risultato di questa operazione è che i 118 milioni del giro d’affari 2013 sono diventati, nel calcolo dei multipli per il collocamento, 208 milioni di fatturato-proforma e l’utile operativo è passato da 8,4 milioni a ben 51 milioni pro-forma. Di conseguenza il rapporto prezzo/utili, normalmente usato nelle operazioni di quotazione per identificare il giusto valore da dare a una società, è sceso a 31, un valore decisamente più basso rispetto quello di 113 che risulta dai dati 2013. Aspetto che non sfuggirà ai grandi investitori, ma che rischia di trarre in inganno i piccoli risparmiatori. Come se non bastasse l’intesa di luglio ha finito anche con l’aumentare la dipendenza di Rai Way da Viale Mazzini, che pesa per l’83% del giro d’affari della controllata contro il precedente 69 per cento. Non a caso tutta l’operazione del Nuovo Contratto viene giustamente inserita tra i fattori di rischio del prospetto in cui si spiega che “esiste un collegamento tra il rapporto contrattuale tra Stato e Rai e il rapporto contrattuale tra Rai e Rai Way. Conseguentemente, il venire meno del primo ha effetti sul secondo – spiega il documento informativo – Ai sensi del Nuovo Contratto di Servizio, il mancato rinnovo della concessione costituisce un evento modificativo istituzionale che legittima Rai a recedere dallo stesso, con un preavviso pari a dodici mesi”.

Un argomento non da poco per una società alla quale è stato attribuito un valore complessivo compreso fra un minimo di 802,4 milioni e un massimo di 952 milioni a seconda del prezzo definitivo, che potrà oscillare in una forchetta compresa fra 2,95 e 3,50 euro per azione. La cifra è considerevolmente alta se si pensa che il collocamento del 30,51% avverrà a un valore pari a 20 volte gli utili 2014, un livello proprio delle società del lusso (Tod’s ad esempio scambia in Borsa a 10 volte) e non certo dei business industriali come quello delle torri di trasmissione, che ha margini molto sottili e il cui potenziale è legato alla necessità di continui investimenti infrastrutturali.

Nell’intera operazione, infine, fa riflettere lo stretto legame con la casa madre. Non solo per il consistente giro d’affari che viene da Viale Mazzini, ma anche per i risvolti finanziari irrisolti al momento del collocamento. Fra questi il cash pooling, “che prevede il trasferimento giornaliero dei saldi positivi e negativi derivanti dalla gestione su apposito conto corrente intersocietario” appoggiato su banca Intesa sulla base di una “tesoreria centralizzata”. Una pratica assolutamente contraria ai principi di separazione e di buon governo delle società quotate. Che normalmente, peraltro, non hanno fra i rischi la “contestazione dell’offerta globale da parte di alcune organizzazioni sindacali”, che Rai Way giudica comunque “destituite di fondamento”.

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