La Difesa ordina altri due cacciabombardieri F35, oltre ai sei già acquistati. La conferma arriva dall’accordo di principio raggiunto nei giorni scorsi a Washington tra Pentagono e Lockheed Martin (qui) per la produzione nel 2015 di un nuovo lotto – l’ottavo – di 43 velivoli, due dei quali destinati all’Aeronautica Militare italiana. Il valore del contratto sarà noto solo dopo la firma, prevista per le “prossime settimane”.

Il contestato programma F35 prosegue imperterrito la sua corsa, immune ai tagli di bilancio imposti dalla legge di stabilità – che colpiranno anche la Difesa, ma in altri settori – e indifferente alla decisione del Parlamento di dimezzare lo stanziamento di 13 miliardi ad esso destinato –, decisione presa a fine settembre dallo stesso partito di Renzi con una mozione, presentata dal deputato Pd Gian Piero Scanu, che impegnava il governo a “riesaminare” il programma, ma senza sospenderlo come invece chiedevano le opposizioni di Sel e Cinquestelle.

D’altronde a inizio ottobre il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, era stato chiaro: la “ridefinizione” del programma verrà decisa in base alle esigenze indicate dal Libro Bianco della Difesa a cui stanno lavorando gli esperti del Ministero, ma intanto si va avanti con gli acquisti. “La continuazione del programma – dichiarava la Pinotti – richiede che entro la fine dell’anno sia dato mandato di procedere almeno alla firma dell’impegno relativo all’anno in corso per la produzione di un lotto di due velivoli, e che siano effettuati i relativi pagamenti”.

Per Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo e della campagna contro gli F35, l’acquisto di altri due aerei è l’ennesima dimostrazione della mancanza di trasparenza della Difesa. “E’ indecente che le conferme sugli acquisti debbano arrivare sempre solo dal Pentagono – denuncia Vignarca – e che la Difesa continui invece a negare informazioni chiare e dettagliate sui contratti”.

Ancora a luglio la Pinotti negava con fermezza l’acquisizione di questi due nuovi F35, il settimo e l’ottavo, nonostante una delegazione di parlamentari e giornalisti li avesse potuti vedere già in assemblaggio nello stabilimento Alenia di Cameri, con tanto di cartellino tricolore ad indicarne la destinazione.

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