La storia di Juan Martín Piaggio, 56 anni, inizia con una prima migrazione nel 1973. Nato in Uruguay, dopo un lungo peregrinare si trasferisce con i genitori in Italia, e la sceglie come sua casa: lì si laurea brillantemente, si sposa, diventa padre per due volte. Ora, dopo decenni, è costretto a fare i conti con la crisi economica che imperversa anche nel suo settore, l’architettura. L’unica soluzione è migrare di nuovo, ripercorrere la rotta al contrario, salvo fermarsi stavolta in Colombia, dove si è trasferito quest’anno per insegnare all’università di Tunja.

“Finito il liceo e completata l’università – racconta Juan – ho aperto con un vecchio compagno di università uno studio professionale. A parte una piccola parentesi in Cina, ho sempre lavorato in Italia, specializzandomi nel settore del laterizio ed essendo anche chiamato nelle università italiane per conferenze e ricerche. Negli ultimi anni, dal 2007 in poi, ho visto il lavoro scemare; il nostro studio, prima ben avviato, si è dovuto trasferire in una sede più piccola, poi abbiamo ridotto la capacità operativa ad un solo collaboratore, ma la situazione è rimasta comunque insostenibile”.

Quindi Juan decide di prendere in seria considerazione la possibilità di migrare. “Ho iniziato a mandare infinite e-mail e curricula in tutto il mondo, dal Canada alla Nuova Zelanda. Le risposte più concrete sono arrivate dalla Colombia, dove avevo avuto una prima esperienza di insegnamento nel 2008. Visto che sono abbastanza avventuroso mi sta bene provare mondi nuovi, e questo mondo del resto non mi è del tutto alieno: qui ripesco radici sepolte”.

Per quanto si possa essere ottimisti, trasferirsi a 56 anni dall’altra parte del mondo è una bella sfida. Altrettanto complesso sarà pianificare un rientro in Italia, in un ambiente professionale che al momento non sembra offrire grandi possibilità: “Non so se mai potrò tornare a fare quello che ho sempre fatto, né se si potranno aprire le porte dell’insegnamento accademico, specialmente a 56 anni. In Italia vige un meccanismo abbastanza rigido di conoscenze e contatti, che da qui si fa fatica a coltivare. Forse è possibile che qualche porta si apra in altri paesi d’Europa meno sclerotizzati: prima di optare per la Colombia, ho avuto qualche contatto anche con università inglesi”.

Ricco di passioni e di carattere ospitale, Juan racconta il curioso episodio che l’ha portato a conoscere i suoi attuali colleghi a Tunja: “Ero in contatto con loro prima di partire per la Colombia, quando ancora risiedevo in Italia. Un anno fa, per un errore di voli aerei, sono capitati a Milano due professori di questa università. Gli ho offerto alloggio, e immaginando la stanchezza per il lungo viaggio mi ha fatto piacere imbastire una bella cenetta per loro. Diciamo insomma che li ho presi per la gola! Qualche mese dopo li ho contattati, del resto il trasferimento in Colombia era già programmato, visto che ho insegnato un primo semestre a Bogotá. Dopo un po’ di trattative, abbiamo trovato un accordo e mi sono spostato qui a Tunja”.

Forse la compagna di Juan lo raggiungerà in Colombia dall’Italia e forse la sua cucina, come lui stesso afferma, diventerà più sincretica e arricchita di sapori tropicali. Ma come molti emigrati anche Juan prova una certa nostalgia di casa: “Mi mancano la bufala, il prosciutto crudo, il parmigiano, il cinema, i concerti, e le mille cose che fanno dell’Italia di gran lunga il più bel posto dove vivere. Se misuriamo la ricchezza in base al Pil – scusa la considerazione un po’ trita -, siamo messi male, ma se nel computo, invece, ci mettiamo i paesaggi, il cibo (e il vino), le lingue, le mille città, borghi e paesi, l’arte, siamo i più ricchi al mondo. Possibile che io ci debba tornare solo da pensionato? Sarà l’Italia per me la Miami d’Europa, dove andare a svernare gli ultimi anni? No!”

Intanto in Italia restano anche i due figli di Juan, studenti universitari: “Nessuno dei due si è sognato di seguire le orme del papà. Il mondo del futuro, quello che hanno davanti, è così diverso dal nostro… Noi vedevamo ancora il mondo dei nostri genitori, dove sembrava che tutto si potesse fare. Ora, grazie agli sconquassi politici ed economici seminati decenni fa, non è più il mondo che pensavamo”. Non lo è più né per noi né per i nostri figli. La lezione di Juan, però, è sempre valida: guardare con coraggio anche alle scelte più difficili, e non smettere di reinventarsi e crescere. Del resto lui, per completare il quadro, è anche studente di Master presso l’università in cui insegna.

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