Per quel che ci concerne, qui da noi non esiste nemmeno un movimento autonomo che si batte per la pace. All’infuori di alcune donne e di qualche organizzazione non governativa che hanno sposato l’idea pacifista, un’iniziativa di massa contro la guerra non si è mai veramente affermata in Serbia. Oggi a Belgrado – e Belgrado a causa delle comunicazioni ridotte, è l’unico microcosmo che posso tenere d’occhio – si registra un sorprendente aumento della tolleranza e di modi pacifici nei rapporti interpersonali. Messa di fronte alla violenza cieca la città mostra il suo volto pacifico sia per le strade buie, sia nei rifugi, sia quando bisogna fare la fila.

Serbia hardcoreScritto in presa diretta mentre l’Occidente (tra gli altri con la benedizione anche del nostro democratico “compagno” D’Alema) gettava le proprie bombe su Belgrado, Serbia hardcore di Dušan Veličković (Traduzione di Sergej Roic), pubblicato in Italia da Zandonai Editore, è un libro veloce, dal ritmo martellante e malinconico, che getta una grottesca luce di disillusione nei confronti del potere.

Brillanti e beffarde, colte e irriverenti, queste short stories, veri e propri “racconti dal vivo”, vanno quasi a comporre un romanzo in frantumi e narrano di un luogo chiamato Belgrado, di un Paese chiamato Serbia in una travagliata fase di transizione. Veličković presta la propria voce a una comunità lacerata, che vive in biblico tra un «passato che non è mai passato» e dal quale si ereditano conflitti, tragedie e triviali derive nazionalistiche, e un futuro appeso a un filo di incertezza e scetticismo che dovrà sciogliere il dilemma di una colpa collettiva. Acuto interprete degli umori, delle sensazioni e dei sogni nascosti di una città intera, così come del proprio singolare spaesamento, l’autore è un intellettuale che ancora pratica il “conosci te stesso” pur se con laconico disincanto. La medesima disillusione con cui denuncia un regime liberticida che soffoca critica e dissenso, e un Occidente libero e democratico che getta bombe “intelligenti” nel cortile di casa sua. Una confessione che è insieme testimonianza civile e autoterapia, sguardo amaro e irresistibilmente ironico gettato sul presente da un luogo che in realtà è un vizio irrinunciabile. Questo vizio si chiama Belgrado.

Su Belgrado sono stati scritti molti libri e articoli . Come accade per altre città, anche di Belgrado si scrive spesso come se fosse un essere vivente, un grande organismo che respira, pensa, ricorda. A Belgrado, come alle altre città, vengono attribuite le virtù dei grandi uomini: Belgrado ha un’anima libertaria, Belgrado ha coraggio, Belgrado ha caparbietà e un suo proprio destino, ha una vita diversa da quella delle altre grandi città della ex Jugoslavia, sa apprezzare di più e meglio l’indipendenza e la libertà. Il patetismo e lo slancio patriottico di simili descrizioni non mi tangono.

Sempre per Zandonai Editore è uscito anche Balkan pin-up di Dušan Veličković, in cui il bravo e originale autore racconta di quando esisteva la Jugoslavia di Tito che offriva al mondo, tra innumerevoli contraddizioni e storture, l’immagine di una società alternativa. Lo scrittore diffida della retorica ufficiale e decide di risalire il corso accidentato della storia dei Balcani inseguendo una collezione di esperienze personali. Le piccole catastrofi dell’infanzia, lo slancio rivoluzionario della giovinezza, il sarcasmo disincantato della maturità si ricompongono in un vivido mosaico i cui dettagli svelano la fragilità di ogni ideologia e la casualità degli incontri che si riveleranno decisivi per la vita intera.
Dušan Veličković è nato nel 1947, giornalista, scrittore, film maker ed editore, è una delle voci più coraggiose dell’élite intellettuale serba. Negli anni novanta è stato uno strenuo oppositore al regime di Miloševic, e a lungo direttore della celebre rivista “Nin”. Nel 2010 è stato tra i fondatori del settimanale belgradese “Novi magazin”. In italiano, oltre ai libri sopratacitati, sono usciti un paio di racconti inclusi nella raccolta Casablanca serba (Feltrinelli. 2003).

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