Tenevano in pugno la Chinatown di Milano, e la sua arteria principale: via Paolo Sarpi. Avevano il monopolio sullo spaccio del micidiale shaboo, sulla prostituzione, sui videopoker e sulle estorsioni contro i connazionali. E per mantenere questa egemonia capillare su tutto il quartiere, la banda dei fratelli Liang, di 28, e Jian Wu, di 21 anni – entrambi in carcere da giugno, ma nonostante questo capi indiscussi dell’organizzazione – non rinunciava ad aggressioni a colpi di machete, accoltellamenti in mezzo alla strada e intimidazioni continue contro gli altri gruppi desiderosi di mettere le mani sui loro business. Un esempio viene offerto nel marzo scorso. Quando sette soldati dei fratelli Wu avvicinano un membro di una gang rivale nel karaoke di Bao Li Jin in via Sarpi. Lo circondano, prima dell’intervento del capo Liang che mette una mano sulla spalla dell’uomo e gli sussurra all’orecchio: “Se non mi dai il 30% delle vincite sulle slot machines, di accoltello ogni volta che ti vedo in zona di Paolo Sarpi”. Una promessa che viene mantenuta la sera stessa, quando otto persone armate di machete tendono un agguato a un gruppo rivale che riesce a dileguarsi.

Un fermo immagine simile a quello del 26 gennaio, quando un tentativo di estorsione ai danni di una donna proprietaria di un negozio di parrucchieri finisce a colpi di pugnale e mannaia. Il morto non ci scappa per miracolo. Ma è proprio da quella che sembra una semplice rissa, avvenuta nel cuore chiuso della comunità cinese di Milano, che partono le indagini del Nucleo Investigativo dei Carabinieri, guidati dal tenente colonnello Alessio Carparelli, e coordinate dal pm Luigi Luzi. Un’operazione lunga nove mesi che ha smantellato un’organizzazione composta da nove persone, tra cui una donna che procacciava clienti e tagliava droga, tutte tra i 20 e i 30 anni, per le quali il gip Chiara Valori ha disposto il carcere.

La potenza del gruppo si basava soprattutto sullo spaccio dello shaboo, stupefacente diffuso nelle comunità del sud-est asiatico che garantisce guadagni milionari. I carabinieri sono riusciti a sequestrarne un chilo e mezzo, che piazzato sul mercato a 50 euro al pezzo, vale più di un milione e duecentomila euro. La banda dei fratelli Wu ne spacciava in quantità industriali nel karaoke Ktv, in Paolo Sarpi, e nel negozio controllato dal gruppo in via Aleardi, e imponeva che i propri uomini vendessero droga anche nei locali i cui proprietari erano contrari allo smercio. Nelle telefonate captate dagli uomini dell’Investigativo si parla di “pantaloni”, che altro non sono che i micidiali cristalli di metanfetamina, meglio conosciuta come “ice”, per via del colore cristallino. Per procurarselo, i fratelli Wu fanno su e giù tra Milano e Reggio Emilia, città dove la presenza della comunità cinese è imponente e dove non mancano i ganci giusti per procurarsi lo shaboo. Sostanza che veniva consegnata anche a domicilio ai clienti asiatici e italiani, o che poteva essere comprata e consumata nei locali o nei bordelli della banda.

Sì, perché l’altra linfa vitale per la gang era la prostituzione. Anche in questo ramo i metodi per imporre il proprio business non vanno per il sottile. “Lui era un capo”, dice ai carabinieri una vittima raccontando di quando Liang Wu si presentò nel suo locale, pretendendo di occupare una stanza già prenotata da altri clienti. “Lui diceva che se si fosse accorto che altri venivano a vendere droga o a fornire ragazze, la cosa sarebbe finita male per me”. Sono almeno quattro le case di appuntamento controllate direttamente dalla banda: due negozi dismessi in via Farini e via Aleandri e due bar karaoke in via Paolo Sarpi. Dove non mancano anche i numerosi avventori italiani. I clienti potevano prendere appuntamento grazie alle inserzioni sui giornali in lingua cinese o tramite WeChat, app simile a Whatsapp, più utilizzata nella comunità cinese. Tutto era gestito da due maitresse, che facevano prostituire dieci ragazze: otto cinesi tranne un’italiana e una rumena. Le tariffe andavano da un minimo di 60 euro per venti minuti, a un massimo di 350 euro per un’intera notte. Il prezzo scendeva a 300 euro se il rapporto veniva consumato a casa del cliente.

Erano questi i mille tentacoli dei fratelli Wu, novelli gangster, già arrestati nel 2009 nel primo filone dell’indagine conclusa oggi. Che si sono fatti quattro anni di carcere e sono stati rimessi in libertà nel 2013, fino a giugno scorso quando sono tornati dentro per un’estorsione. Anche se la cella non li ha impedito di tenere salde le mani sulla loro Chinatown.

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