La ricerca scientifica non è infallibile, ma è capace di correggere da sé i suoi errori: risultati non riproducibili o con statistica insufficiente, interpretazioni azzardate e teorie erronee vengono progressivamente identificati e eliminati o corretti. In teoria. In pratica la correzione degli errori scientifici è tanto più lenta e difficile quanto più il dato sospetto riferisce ad un evento raro, o marginale, o incostante e quanto più l’errore è intelligente o nascosto. Purtroppo una certa quota di errori nella scienza è inevitabile: lo scienziato scopre qualcosa che in precedenza non era noto e i controlli che può effettuare sulle sue scoperte sono limitati dalle conoscenze, dal tempo e dalle risorse di cui dispone. Non è facile proporre esempi di errori famosi perché prima della correzione l’errore non è riconosciuto come tale e dopo di essa viene in genere dimenticato; è raro che un errore finisca nei libri di storia, come quello di Colombo, che credeva di aver raggiunto le Indie e invece aveva scoperto l’America. Due esempi di errori scientifici famosi che forse alcuni lettori ricordano sono la cosiddetta “memoria dell’acqua” di J. Benveniste e la fusione nucleare fredda di Fleischmann e Pons, che non esistono. Accanto a questi, esistono una miriade di piccoli errori scientifici, troppo tecnici e disparati per essere descritti.

errori scientifici

 

Molti scienziati ed esperti hanno notato che il numero di errori sembra aumentare nel tempo, almeno a giudicare dal numero di articoli scientifici ritirati dall’autore o dalla rivista. Inoltre anche il numero delle frodi scientifiche, o almeno degli errori intenzionali, sembra essere in aumento, o comunque molto elevato. Una delle ragioni di questo aumento degli errori e delle frodi scientifiche è l’esagerata pressione esercitata sugli scienziati dalle agenzie di valutazione: la competizione per ottenere finanziamenti alla ricerca è molto spinta e gli scienziati devono pubblicare molti articoli e molto in fretta. Gli americani hanno coniato l’aforisma “publish or perish” (pubblica o muori) per descrivere questo stato di cose. Sotto la pressione del publish or perish, lo scienziato cerca di accelerare i tempi: non prova più a riprodurre i suoi stessi esperimenti e si accontenta di uno o pochi dati; semplifica l’analisi, anche statistica il più possibile, contando anche sul fatto che i suoi colleghi fanno lo stesso; propone l’interpretazione più semplice o più sensazionale, evitando di esplorare ipotesi alternative che gli costerebbero molto tempo.

Fino a dieci o venti anni fa, l’Italia era relativamente poco colpita da questo problema: la pressione sugli scienziati era minore che altrove, e gli scarsi finanziamenti erano distribuiti in modo non troppo selettivo. Purtroppo non si può restare isolati di fronte ad una tendenza internazionale, ed anche in Italia oggi la ricerca scientifica viene messa sotto una forte pressione dalla valutazione del Ministero, peraltro, paradossalmente, in un momento in cui il finanziamento pubblico è stato praticamente azzerato. L’ultimo della classe voleva diventare il primo e, non essendo capace, ha esagerato. Quali sono i rischi dell’eccesso di valutazione? In primo luogo si uccide la varietà della ricerca: prosperano solo laboratori grandi che svolgono ricerche immediatamente produttive, poco innovative. L’innovazione infatti comporta incertezza e viene penalizzata da una valutazione che misura le pubblicazioni scientifiche a un tanto al chilo. In secondo luogo si costringe lo scienziato ad accelerare i tempi delle sue pubblicazioni, riducendo il numero di controlli e si aumentano le possibilità di errore, quando non addirittura di frode deliberata.

Esistono alternative? Si potrebbe pensare a meccanismi di valutazione della ricerca differenziati in relazione all’entità del finanziamento ricevuto: quanto maggiore il finanziamento tanto più severa la valutazione. Questo lascerebbe un margine di ricerca finanziata poco ma accessibile a molti e non vessata da valutazioni punitive. In alcuni casi con pochi soldi (e valutazioni negative) furono fatte grandi scoperte: Thomas Hunt Morgan, non essendo stato ritenuto meritevole del finanziamento che aveva richiesto per studiare la genetica sui conigli, “ripiegò” sulla drosphila, il moscerino della frutta, il cui allevamento costava quasi nulla. Ottenne il premio Nobel nel 1933.

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