Che le contraddizioni stridenti non sempre paghino, anche nell’ambito di una politica trasformista come quella brasiliana, è dimostrato dai risultati del primo turno della consultazione elettorale, ai fini di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica federale, il 5 ottobre; Marina Silva, la nuova leader dei Socialisti brasiliani, che, meno di un mese fa, i sondaggi davano appaiata alla Presidente in carica Dilma Rousseff, ha chiuso il suo percorso con un misero 21% e non parteciperà al ballottaggio.

Aecio Neves Marina Silva

Il cocktail controverso del suo programma, oscillante tra le rivendicazioni delle minoranze etniche, e la difesa dell’autonomia della Banca Centrale, non ha convinto né gli elettori di centro né quelli provenienti dal ceto medio-basso, che si sono in prevalenza orientati verso le altre due formazioni in lizza, il Pt governativo e Psdb, i social democratici di tradizione centro-destra (a dispetto del nome) guidati da Aécio Neves.

D’altro canto, neanche cullarsi sugli allori porta dei frutti consistenti.

Dilma Rousseff, la “delfina” del Piccolo Grande Vecchio, Inàcio Lula da Silva, eletta nel 2010 con una sorta di plebiscito che ha sfiorato il 70%, oggi arranca intorno al 41%, ed è seriamente minacciata dalla nuova alleanza, ufficializzata i giorni scorsi in Tv, tra la sconfitta Marina e il superstite candidato dell’opposizione Neves. Se i socialisti convogliassero compatti nelle urne con il loro 21%, aggiunto al 34% che Neves ha conquistato, il Psdb vincerebbe a man bassa. Però in politica niente va dato per scontato: lo dimostra proprio Aécio, che i più davano finito, un vaso di coccio tra i due di ferro de le amazzoni Dilma e Marina. Errore: Neves, vaso di coccio non lo è mai stato.

Senatore, ex-governatore di uno degli Stati più industrializzati, Minas Gerais, che l’avvocato Agnelli negli anni ’70 aveva scelto per impiantare il primo stabilimento Fiat in Brasile, egli è anche editorialista del Folha de S.Paulo, una testata molto seguita; seppure, per tradizione, rappresenti gli interessi di quel 15/20% di brasiliani bianchi, formato da grandi industriali, immobiliaristi e imprenditori rampanti in genere, ha tuttavia strappato consensi non solo dagli elettori centristi, ma anche dai cosiddetti excluidos, gli esclusi, quelli che in Brasile non ce la fanno, spesso pretos (neri) o pardos (mulatti e meticci).

Sono rimasto sbalordito, una volta saputo che molti abitanti della favela di Macaxeira a Recife, Pernambuco, il 5 ottobre hanno votato Psdb.

Sindrome di Stoccolma? Può darsi. Sta di fatto, che dopo le rivolte sociali di giugno 2013, molti di quei lavoratori e afro-brasiliani che il Pt di Lula ha rappresentato per tanti anni, sono ora disillusi dalla politica di Dilma; l’assistenzialismo a “pioggia”, di programmi come Bolsa Familia e Fome Zero, che Lula aveva imposto per aiutare le classi disagiate, non ha però emancipato i ceti bassi, che oggi si ritrovano fortemente indebitati, con un valore d’acquisto ridotto dalla sperequazione tra costo della vita e salari non adeguati.

In più, l’alto livello di corruzione, che soprattutto i municipi periferici hanno dimostrato nell’amministrazione di quei fondi ha aggravato l’emorragia di consensi. Da questo sostenere però che Neves sia ora un paladino dei reietti, ce ne corre. Il liberismo economico che sta strangolando servizi pubblici e indebitando famiglie può solo aumentare, in caso egli vinca, domenica 26 ottobre.

Nwo o Nob?

E’ sul terreno della politica estera che si gioca gran parte del futuro post-elettorale brasiliano. In particolare inciderebbe l’eventuale spostamento degli attuali equilibri economici con gli altri Paesi del continente americano.

E ovviamente con la Cina, che l’attuale amministrazione considera partner primario. Una diatriba infiamma la campagna presidenziale, riguardo possibile vittoria del blocco Psb/Psdb, che riporterebbe l’ago della bilancia commerciale brasileira sotto il controllo nord americano, e riesuma termini come Nwo (New World Order) di Washington, Fmi e Banca Mondiale.

In realtà questo Nuovo Ordine è già vecchio, perché risale alla fine della Guerra Fredda, quando il crollo del regime sovietico aprì la strada agli Stati Uniti come unico arbitro della politica economica internazionale.

Una tendenza durata oltre un decennio, con ingerenze della finanza Usa nell’economia di Stati deboli, come l’Argentina, che continua a pagare lo scotto più alto, con ben due default, 2001 e 2014, causati dal debito contratto con le società di hedge fund, i cosiddetti: “Fondi Avvoltoio”.

L’ascesa delle Nazioni emergenti, ha fermato questo trend, creando la compagine Bric (Brasile, Russia, India, Cina) diventati poi Brics, con l’adesione del Sudafrica. A livello regionale, l’alleanza del Brasile con i Paesi dell’Alba, ha consentito un’indipendenza energetica totale, grazie alla produzione di petrolio, etanolo, bio-diesel (Brasile) petrolio (Venezuela, Ecuador) gas (Bolivia).

A livello estero lo scontro verte su questi punti: mentre Dilma difende a spada tratta l’alleanza, specie con la Cina, e promuove il rafforzamento del Mercosul (l’interscambio commerciale nell’America Latina) Marina preme per privilegiare le relazioni commerciali con Washington, e l’autonomia del Banco do Brasil dal governo centrale. Dal canto suo Aécio, furbescamente, dichiara di voler mantenere le alleanze, mutando però il percorso, specie nei confronti della Cina, le cui differenze politiche e la concorrenza dei prezzi stracciati nel campo manifatturiero con il Brasile, riguardo esportazioni verso Usa e Unione Europea, non possono essere trascurate.

A livello regionale, chiede di rivedere i rapporti con la Bolivia, per via del traffico di droga. In un momento debole per i membri della compagine, causa la recessione in Brasile, le rivolte in Venezuela, il flop del partito di Correa alle amministrative in Ecuador, i disordini in Sudafrica, e, a livello internazionale, l’isolamento di Putin dopo la crisi ucraina, e la chiusura sui diritti umani in Cina, questo processo di restaurazione trova terreno fertile.

Se si sgretola il mattone brasiliano, (il termine Brics è simile all’inglese bricks, mattoni) l’intera muraglia è a rischio.

La prospettiva di un Nob (Nova Ordem Brasileiro) sarebbe la fine del sogno di Lula, una società più bilanciata nelle proprie ricchezze, con un welfare solido.

E non solo del suo.

P.s.: al momento di scrivere, le proiezioni di Datafolha danno Dilma al 52% e Aécio al 48%.

Articolo Precedente

Canada: ecco chi era Michael Zehaf-Bibeau, attentatore convertito all’Islam

next
Articolo Successivo

America Latina: Venezuela e Colombia, fra guerra e pace

next