Anche il continente latinoamericano inizia a muoversi per sostenere le energie rinnovabili e tentare di arginare gli effetti del cambiamento climatico. Il Cile è il primo stato sudamericano infatti a introdurre la carbon tax, cioè una tassa sulle emissioni di anidride carbonica rilasciate nell’atmosfera, e a colpire i giganti dell’energia. La presidente Michelle Bachelet, nella riforma fiscale da poco approvata, ha infatti firmato una norma che pone una tassa di 5 dollari a tonnellata per le emissioni di CO2 prodotte da chi gestisce impianti di generazione elettrica alimentati con combustibili fossili di potenza superiore a 50 Mw. Dall’imposta, che rientra in un pacchetto di norme a tutela dell’ambiente e della qualità dell’aria, sono esclusi gli impianti più piccoli e quelli alimentati con fonti rinnovabili di energia come le biomasse.

La misura ha quindi l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti, cercando di arginare i cambiamenti climatici e sostenere la crescita del settore delle energie rinnovabil, dato che allo stato attuale circa l’80 per cento dell’energia impiegata nel Paese si basa su fonti fossili, principalmente petrolio e carbone importati. Tra le aziende colpite dalla nuova norma voluta dalla socialista Bachelet ci sono soprattutto le grandi aziende, e in particolare alcuni dei giganti dell’energia mondiale, come la statunitense Aes Gener, E. Cl., le cilene Colbún e Endesa Chile, quest’ultima controllata dell’Enel. Endesa e Colbún sono tra l’altro note in Cile per il progetto HidroAysèn, che prevede la progettazione di cinque enormi dighe, con 2000 chilometri di torri e cavi elettrici sui due più grandi fiumi del Paese, Baker e Pascua. Impianti idroelettrici che, secondo gli ambientalisti, metterebbero a rischio un intero ecosistema. Le aziende dal canto loro non si sono dichiarate entusiaste del provvedimento, facendo sapere che con questa nuova tassa salirà il prezzo dell’elettricità, e criticando il fatto che altri settori industriali non siano stati inclusi dalla norma. Ma tant’è.

Il provvedimento cileno arriva dopo quello, più blando, introdotto all’inizio dell’anno in Messico, che tassa la vendita di combustibili fossili di circa 3 dollari per tonnellata di anidride carbonica, e che permette alle aziende che inquinano di utilizzare i “carbon credit”, una sorta di scambio in reputazione e guadagno, rimanendo nei limiti previsti per le emissioni di CO2, e la Costa Rica, che ha deciso di tassare le vendite di benzina. Il Cile inizierà a misurare le emissioni industriali di anidride carbonica prodotte sul proprio territorio dagli impianti termici nel 2017 e la nuova tassa diventerà operativa dal 2018. Lo scopo è di ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento, in modo da rientrare nell’obiettivo stabilito per il 2020. Il governo cileno prevede così di ricavare 160 milioni di dollari l’anno dal carbon tax, che, secondo quanto promesso, dovrebbero essere interamente devoluti all’istruzione pubblica, in modo da migliorarne gli standard.

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