E’ inutile negare che oggi, per una diversa serie di circostanze, il nostro presidente del consiglio si trovi proprio al centro di una nuova corrente in Europa che potrebbe cambiare radicalmente il corso delle scelte politiche ed economiche del continente, è già un dato di fatto.

Ci sono già diversi fattori che spingono ad un cambiamento di strategia economica (non solo in Europa). Innanzitutto c’è la sensibile perdita di velocità nella crescita di quelli che sono stati fino allo scorso anno i paesi motori della globalizzazione negli ultimi 5 – 10 anni, e cioè la Cina e i B.R.I.C.S. (Brasile, Russia, India, Cina e SudAfrica).

La mancata completa ripresa negli Stati Uniti unita alla persistente e sempre piu’ profonda crisi economica in Europa, ora alle prese persino con una pericolosa scivolata in deflazione, non consentono all’economia globale di mantenere i flussi di sviluppo del recente passato.

Le principali borse (Londra e Wall Street) hanno già recuperato interamente e abbondantemente le perdite registrate con la crisi del 2007-2008 quindi, con le principali economie ovunque, poco o tanto, in sofferenza, è già iniziata la fase delle “correzioni”.

E proprio a proposito dell’Europa occorre però adesso prendere atto di un momento che potrebbe essere determinante ad un cambiamento di strategia veramente importante.

Tra i commenti al mio post articolo sull’Europa ne ho ricevuto uno particolarmente interessante perché si chiedeva, in termini filosofici, se il comportamento dei vertici europei fosse ispirato a valori deterministici oppure se le scelte operate fossero conseguenza di indeterminismo. Io credo che nelle scelte dell’Europa non ci sia soltanto la variabile del determinismo o indeterminismo, ma qualcosa di più profondo o, per meglio dire, nascosto. Infatti a monte delle politiche avviate (determinismo) c’è (o ci dovrebbe essere) una scelta di campo che le determina e che, a priori, deve decidere.

Ma decidere a favore di chi? E per quale progetto?

Non c’è dubbio che le scelte dell’Europa sono andate, per tutto il periodo della crisi, a favore delle banche e della finanza, non a favore della gente, e nemmeno delle imprese.

La crisi iniziata nel 2008 ha trovato i paesi europei divisi in due gruppi, quelli che erano entrati nella moneta unica “Euro” e quelli che ne sono rimasti fuori. Tra quelli che sono entrati nell’euro la Germania, oltre che essere la principale potenza economica del gruppo ha avuto anche il vantaggio di aver dovuto affrontare, per cause accidentali (l’unificazione con la Germania est), il problema dell’indebitamento in anticipo sulle altre grandi economie dell’area euro. E di questo vantaggio, di cui a cavallo tra il 2011 e il 2012 si e’ avuto l’espressione massima nei valori dello “spread” tra bond tedeschi e italiani, la Germania ne ha approfittato per tre anni consecutivi, con l’appoggio degli altri paesi “virtuosi” della zona euro, per mettersi la giacca del padrone e costringere tutti gli altri ad una politica suicida di rientro dal debito a tappe forzate.

Hanno trovato, all’epoca, per la Francia un governo velleitario e per l’Italia un governo Berlusconi che era assolutamente inadatto (era il periodo apodittico dei “bunga bunga”) e forse anche sprovveduto ad affrontare una tale situazione. Germania e soci ne hanno quindi approfittato indecorosamente per fare accettare a tutti i partners quei “patti di stabilità” e “tetti al debito” che sono, in termini economici e non essendo padroni della propria moneta, l’equivalente di mettere la testa sotto la ghigliottina.

Ma ora sono intervenuti fatti nuovi, alcuni equilibri sono cambiati. Le recenti elezioni europee ed italiane hanno portato nell’arena politica soggetti nuovi. Ed è proprio sotto questo profilo che riesce ad esprimersi il determinismo estremamente pragmatico di Renzi, balzato per una fortunata serie di circostanze al vertice non solo del governo italiano ma di quello dell’intera Europa. Non è arrivato al vertice né per scelta del popolo né per meriti propri (salvo appunto quello del pragmatismo estremo) però sta usando il suo potere, a differenza di quelli che lo hanno preceduto, con estrema determinazione nel perseguire il suo progetto (peraltro tuttora in buona misura sconosciuto ai più).

Tutta la situazione si è però sviluppata nel far diventare proprio lui l’ago della bilancia nella scelta tra la politica di rigore del precedente triennio e quella di un approccio più ragionato e più consapevole dei danni che quella politica ha già procurato all’intero continente.

Se lui (come sembra dalle sue recenti dichiarazioni) si schiererà con la Francia, potendo contare anche (come appare probabile dalle loro recenti dichiarazioni) sull’appoggio di Draghi, Lagarde e Yellen, la politica economica europea cambierà presto direzione, e la Merkel coi suoi alleati dovranno farsene una ragione.

Si può quindi già fin d’ora dire che, con Renzi, la fase dell’indeterminismo in Europa è terminata. Anche se ciò avviene per casualità, perché la serie di circostanze che hanno portato Renzi in pochi mesi al vertice d’Europa non potevano da nessuno essere programmate.

Le scelte che ora lui farà (in accordo con quelli che lo sostengono) non hanno nulla di casuale e potrebbero anche mutare il cammino dell’intera Europa.

Se nel bene o nel male è però presto per dirlo.

Se lui è sincero propendo per il bene. Ma lui è sincero? A giudicare dai suoi precedenti si direbbe proprio di no.

Dallas, Texas

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