Il processo sulla trattativa Stato-mafia, analizzato e sviscerato da due cronisti giudiziari, notoriamente agli antipodi su molti versanti: il condirettore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, e l’ex direttore di Radio Radicale ed editorialista de Il Foglio, Massimo Bordin. Entrambi ospiti del programma “Bianco e Nero”, su Radio Uno, i due giornalisti si confrontano sui dettagli del processo, sulla testimonianza del Capo dello Stato, prevista per il 28 ottobre prossimo, sull’ordinanza della Corte d’Assise di Palermo circa la presenza non autorizzata degli imputati Totò Riina e Leoluca Bagarella all’udienza che si terrà al Quirinale. Secondo Bordin, il processo è “fiacco”: “Continua con le udienze tutte le settimane, vengono sentiti i pentiti, però non succede mai nulla di particolarmente significativo”. Sulla deposizione di Napolitano, aggiunge: “Dal punto di vista del dato probatorio che potrebbe uscire dalla sua testimonianza, l’atto è perfettamente inutile. Dal punto di vista dell’economia mediatica del processo, è quasi un atto dovuto. Sotto il profilo processuale, sull’oggetto della trattativa Napolitano non può darci nulla, perché all’epoca era presidente della Camera, e pure abbastanza insidiato dal suo partito, allora guidato da Achille Occhetto”. Travaglio puntualizza che la trattativa è un fatto ormai documentato e cristallizzato da sentenze definitive della Corte di Cassazione, oltre che raccontata con la parola “trattativa” da coloro che la fecero. E sottolinea che la testimonianza di Napolitano è fondamentale per la ricostruzione dei fatti. A riguardo, menziona alcuni passaggi della lettera con cui Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, comunicava le sue dimissioni al presidente della Repubblica, epistola resa pubblica dallo stesso Napolitano. Travaglio marca la frase “lei sa”, rivolta da D’Ambrosio allo stesso Capo dello stato e osserva: “Quando Napolitano nel giugno del 2012 ricevette questa lettera, avrebbe dovuto fare un salto sulla sedia, andare immediatamente da D’Ambrosio, chiedergli tutte le spiegazioni e poi recarsi alla Procura di Palermo con D’Ambrosio per testimoniare, prima ancora di venire chiamato. D’Ambrosio poi è morto d’infarto un mese dopo, e quindi l’unica persona viva che può sapere che cosa disse D’Ambrosio a Napolitano è proprio Napolitano“. Bordin ribatte: “Bianconi sul Corriere ha messo insieme in una pagina tutti i pezzi di queste sentenze, che Travaglio cita come prova del fatto che la trattativa sia acclarata. Tutti quei processi, tranne uno che è un processo di primo grado, non si occupano della trattativa come base ed inseriscono l’argomento mettendo sempre il verbo al condizionale“. E aggiunge: “In quella lettera si capisce benissimo da aggettivi anche forti cosa pensa D’Ambrosio della indagine che ha portato a questo processo. E su questa indagine D’Ambrosio è molto severo. Perché Napolitano poi rende pubblica una lettera personale di dimissioni, in cui D’Ambrosio parla di questo grande segreto? Il presidente della Repubblica poteva mettersela in tasca e fare un comunicato”. Il vis-à-vis tra i due giornalisti prosegue sulla mancata partecipazione di Riina e Bagarella, in videoconferenza, alla deposizione di Napolitano. Travaglio menziona l’articolo 111 della Costituzione e l’articolo 178 del codice di procedura penale. Bordin replica che il quinto comma dell’art. 111 ipotizza addirittura la possibilità di assenza delle parti. Il confronto poi verte sull’utilità del processo e sul comportamento delle istituzioni nei confronti di esso  di Gisella Ruccia

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