Il testo seguente è estratto da Io so e ho le prove – confessioni di un ex manager bancario edito da Chiarelettere in libreria dal 16 ottobre

di Vincenzo Imperatore

C’era una volta la “Commissione di massimo scoperto”, ritenuta (giustamente) illegittima e vessatoria nei confronti del correntista. Quando finalmente arriva la legge per mettere freno all’odioso balzello ecco, come per magia, che le commissioni da una diventano due: la Civ (Commissione di istruttoria veloce) e la Dif (Commissione disposizione fondi o Disponibilità immediata fondi). Il risultato è un passo in avanti e due indietro. La regola è sempre la stessa: continuare a favorire il sistema creditizio italiano a discapito dei risparmiatori. La moltiplicazione delle commissioni è la conferma di quanto nel nostro paese sia difficile ridurre lo strapotere delle banche. Tutto comincia dunque con la Commissione di massimo scoperto (Cms), un onere ingiustificato che i correntisti hanno visto addebitarsi per molti anni nei contratti di conto corrente. Un corrispettivo da versare alla banca sulla cosiddetta “scopertura massima” (cioè la somma più alta usata da un correntista oltre le proprie reali disponibilità e nell’arco di un trimestre).

Ipotizziamo un correntista con un fido di 100.000 euro. È un piccolo imprenditore che, per effetto della dinamica versamenti-prelevamenti legati alla gestione ordinaria della sua attività, si ritrova sul suo conto questa situazione: il 20 gennaio un saldo negativo di 22.000 euro (ha cioè utilizzato 22.000 euro dei 100.000 messigli a disposizione dalla banca); il 18 febbraio il saldo è ancora negativo ma per la somma di 18.000 euro; la posizione al 27 marzo invece risulta pari a -20.000. La Commissione di massimo scoperto era calcolata dall’istituto sulla punta più alta di scoperto che il cliente aveva registrato. Nel nostro esempio, con un’aliquota della Cms dello 0,5 per cento, il correntista pagava 110 euro (lo 0,5 per cento di 22.000). Se non aveva scoperti, naturalmente non pagava nulla. Negli anni tra il 2006 e il 2011 si è assistito a un vero e proprio braccio di ferro tra banche e consumatori sul tema della Commissione di massimo scoperto. Il “sistema” voleva a tutti i costi difenderla.

Ricordo benissimo le pressioni che i grandi capi degli istituti facevano sui rappresentanti del governo affinché non cedessero alle rimostranze delle associazioni dei consumatori. Ce lo raccontavano preoccupati durante le convention. Per quanto ingiustificata fosse, la commissione creava profitto e questo bastava e avanzava perché le banche si risentissero. In qualche modo, però, gli istituti si sono dovuti mettere il cuore in pace. I giudici, fino al 2009, hanno ritenuto illegittime le clausole che prevedevano la commissione, perché questa andava ad aggiungersi in maniera subdola e illecita agli interessi passivi che il cliente pagava già sulle somme usate al di fuori delle sue reali disponibilità e perché l’importo da pagare a titolo di commissione era calcolato su un periodo, il trimestre, stabilito dagli stessi istituti in maniera del tutto arbitraria.

Mancanza di causa” e “indeterminatezza” sono i due termini tecnici che hanno contribuito a definire illegittima la commissione. La Cms andava abolita. Il provvedimento risale all’inizio del 2009. Fin qui tutto bene. Ma le banche non sono rimaste certo a guardare e in breve tempo i costi a carico del correntista si sono addirittura moltiplicati. Il lavoro di lobbyng sul parlamento ha portato a un “ritocco” della legislazione sulle commissioni bancarie. La legge numero 214 del 22 dicembre 2011, voluta dall’ex presidente del Consiglio Mario Monti, ha inserito nel Testo unico bancario l’articolo 117 bis, che introduce due nuove ed esclusive commissioni: una sulle linee di credito accordate e una sulle procedure di istruttoria degli affidamenti. Nel secondo caso, in particolare, la Commissione di istruttoria veloce, la Civ, viene giustificata dal fatto che la banca, per “permettere” al correntista di sconfinare, svolge una serie di attività interne, dette “di istruttoria” (accesso alle banche dati, ricerche sul cliente eccetera). Queste procedure hanno un costo e il costo è naturalmente a carico del correntista. E si ricomincia da capo.

Da Il fatto quotidiano del 15 ottobre 2014

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