Figlio di un’epoca di grande fermento culturale, quella del boom economico, Andrea Tich, cantautore milanese ma di origini siciliane, è fra gli artisti più sottovalutati che emergono in questo periodo. Esordisce nel 1978 con un album bizzarro fin dal titolo, Masturbati, che non a caso viene pubblicato dalla Cramps, etichetta fondata da Gianni Sassi – personaggio sopra le righe anch’egli, riconosciuto come “il focus culturale della Milano degli anni Settanta e Ottanta” – che la crea con l’obiettivo di valorizzare gli artisti più all’avanguardia che non riescono a trovare spazio nel circuito discografico tradizionale. Il disco viene prodotto da un altro “agitatore culturale”, figlio in tutto e per tutto degli anni Settanta, dei quali è grande protagonista, Claudio Rocchi. A distanza di 36 anni, Andrea Tich ritorna con un doppio cd, Una Cometa di Sangue (Snowdonia), che conserva l’essenza di quello che è il suo modo di concepire le canzoni, consapevole e matura. Ma anche ironica, giocosa e naïf, proprio come lo era nel 1978. Le tracce sono come legate fra loro da un comune denominatore che rende l’opera concettuale, gli intarsi di vita quotidiana sono strategicamente inseriti tra una canzone e l’altra. Le composizioni racchiudono un arco di tempo che va dagli anni Settanta a oggi, aspetti variegati, pieni di visioni assolute, ma anche prospettive e proiezioni di momenti, stati d’animo, umori e passioni, insomma una musica globale che accompagnerà chi la ascolta, in un mondo onirico e totale.

Signor Tich, mi parlerebbe di lei e di quella che è la sua visione artistica?
La mia visione è che essendo la musica arte, si dovrebbe esprimere quello che di vero c’è nell’anima e lasciare che l’ispirazione prenda il volo, senza pensare o programmare nulla, perché la musica è una parte invisibile del corpo e quindi ogni espressione artistica è personale, la mia non è allineata perché voglio mantenere la genuinità, questo è il mio modo di fare musica.

Mi racconta come avvenne il suo incontro con Gianni Sassi?
Spedii a Michelangelo Romano, Dj di una trasmissione radiofonica dal titolo Pop off, una mia cassetta con alcune canzoni, lui gentilmente mi rispose che forse l’unica etichetta che mi avrebbe ‘ascoltato’, poteva essere la Cramps. Dopo qualche tempo organizzammo un incontro con Gianni Sassi a Milano nella sede Cramps, ricordo che all’ingresso, su una intera parete c’era una gigantografia di una scena del film Frankenstein con Boris Karloff dove il mostro offre un fiore a una bambina. Le altre stanze erano stracolme di oggetti stranissimi, perché di fatto, Gianni era un grafico pubblicitario, sua Alfabeta, rivista di letteratura e La Gola, mensile di gastronomia, oltre ad aver pensato e realizzato numerose copertine per artisti quali Franco Battiato. Ricordo che ascoltò il mio materiale e decise subito che si poteva fare. Era un tipo di poche parole ma deciso e pratico. Firmai il contratto e andai negli studi J. S. Bach a registrare il mio primo disco, in realtà il mio disco doveva essere prodotto da Demetrio Stratos, ma per impegni di tournée, non fu possibile, quindi optai per Claudio Rocchi, personaggio che ammiravo tantissimo sin dai tempi di Viaggio. Claudio è stato semplicemente fantastico, perché ha rispettato esattamente quello che erano i miei provini aggiungendo preziosi interventi di musicisti di un certo calibro. Per la copertina disegnai il mio personaggio ‘TICH’ e Gianni lo manipolò trasformando l’immagine con le caratteristiche inconfondibili della grafica Cramps di quel periodo.

Com’era il suo rapporto con Claudio Rocchi?
Il rapporto con Claudio Rocchi è stato bellissimo, era una persona veramente dolce, comprensiva e professionalmente ideale per la mia musica. Dopo anni ci siamo rincontrati perché Claudio ha scelto una mia canzone Troppa felicità tratta dal mio album Siamo nati vegetali, e l’ha usata nel suo film Pedra Mendalza (a digital tale with music), pubblicato nel 2007.

Che risultati riceveste con il disco Masturbati?
Ottime critiche e recensioni, ovviamente per quegli anni, soltanto il titolo generò difficoltà e quindi tagliato fuori da tutti quei canali di diffusione tradizionale, ma grazie a ciò, sono diventato un’icona della musica sommersa e non allineata che tanto è apprezzata oggi, anche dalle nuove generazioni.

A oltre 30 anni di distanza ritorna con un nuovo album: cos’è che l’ha spinta a “rifarsi vivo”?
In realtà non sono mai ‘sparito’, ho continuato a lavorare nella musica scrivendo, arrangiando e producendo insieme a musicisti e artisti, colonne sonore, canzoni, progetti di sonorizzazioni per lungo e cortometraggi. Un musicista non può sparire, forse sono gli eventi, le etichette discografiche tradizionali che non ti fanno ‘apparire’. È difficilissimo rimanere a galla o essere visibile al grande pubblico, quando le mille difficoltà che incontri creano un muro. Questa è la triste realtà di chi come me sceglie di fare musica potenzialmente non commerciale.

Chi era Andrea Tich all’epoca dell’uscita di Masturbati e chi è il Tich di Cometa di sangue?
La stessa persona, sembra banale ma giuro che è così. Ho la sindrome di Peter Pan ai massimi livelli, ecco, questo comune denominatore determina la mia esistenza. Nella vita sono comico, giocoso, lunatico, ma sempre con una punta che converge al naïf.

Come mai ha scelto di intitolarlo Cometa di sangue?
È il titolo della prima canzone del secondo disco, è vero, è un’immagine forte che rappresenta la realtà, penso che anche le cose più tradizionali che ti danno sicurezza perché fanno parte della tua cultura, possono cambiare. Non c’è nulla di religioso o autobiografico, si tratta semplicemente della cruda realtà.

C’è un messaggio che le piacerebbe venisse colto da chi ascolta il suo disco?
Se quello che provo io, lo provassero anche coloro che ascoltano il mio disco sarei strafelice, mi piace condividere sensazioni e stati d’animo con persone che non conosco e lo faccio attraverso la mia musica. Il mio messaggio è che se questo ti piace e ti rende felice, io ho raggiunto il mio scopo.

Qual è la sua opinione sui talent show come X Factor?
Troppa musica usa e getta, troppi rapper all’italiana con la ‘s’ muta, troppe voci maschili e femminili tecnicamente perfette, troppi qualcuno che assomiglia a qualcun’altro, troppa poca sete della tradizione italiana.

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