Difficile parlare di questa vicenda del ragazzino seviziato a Pianura, ma impossibile non farlo. Difficile cancellare le immagini orribili che nel racconto si impongono alla mente e che mi fanno alzare la mano in un vano gesto di negazione, di Alt, di: “No, vi prego, non mi dite! Zitti! Non voglio sentire!”. Perché le immagini si insinuano, l’orrore si fa strada. 

Oggi in televisione c’era chi urlava in difesa degli aggressori, ventiquattro anni già padre! E chi piangeva il dolore devastante di vittima. La suocera dell’aggressore parla di scherzo, e la madre del ragazzino, come neanche Roberto Benigni ne La vita è bella ha saputo fare racconta al figlio che è tutto a posto, che gli hanno tolto l’aria della pancia. Non l’integrità fisica, non la serenità. E’ brava questa mamma, c’è tempo per la verità, per scoprire la fine di un mondo. 

Questo è il frastuono, questa è la televisione

Per le strade di Napoli però è diverso. Nella breve strada che passa tra il Consultorio di Pianura, dove spendo un paio delle mie giornate lavorative, da quattro anni a questa parte nella condizione di psicologa precaria (ma tutto è spaventosamente precario qui, soprattutto gli avamposti della società civile) e il luogo dell’aggressione, l’autolavaggio su uno stradone inimmaginabile dopo una certa ora, ma pieno di scuole e confusione durante il giorno, l’atmosfera oggi è sospesa, come se tutti parlassero più piano. Sembra che i suoni mi arrivino alle orecchie come dopo un’esplosione. C’è un silenzio un po’ irreale, o così mi sembra, come se il Napoli avesse perso una partita importante. Ma del resto quando accade un fatto così, Napoli ha perso una partita importante

Io non ho perso una partita, ma qualcosa l’ho persa anch’io. Del resto: “Quando è sprecata la vita una volta è sprecata in ogni dove”, come canta Vinicio Capossela. 

O forse domani mi passerà, e si tornerà col sorriso, soprattutto con gentilezza, ad accogliere richieste, bisogni, disagi, ad attivare interventi di rete assieme ad una mai stanca truppa di assistenti sociali, insegnanti, operatori sanitari. A cercare di fare quello che si può con quello che rimane del vivere civile insieme. 

Si ascolta tanto, si prova a non giudicare, sono luoghi di guerra questi, il trauma è di casa. Giudicare i crimini in guerra è difficile. Talvolta, quando è possibile, si prova a trasformare, arginare, contenere rabbie, invidie, paure, non senso, dolore. Quanto dolore! Spesso negato sotto scorze brutte, violente, rapaci, condizioni di umanità al limite. 

Non sempre è così. Certo, non sempre. 

Quanti bei bambini, quanta vivacità, quanta intelligenza, quanti ragazzetti puliti, magari un po’ goffi, imbranati, obesi, timidi, autolesionisti, incapaci di esprimere la ricchezza delle emozioni, perché non si sa mai con chi hai a che fare e come possono reagire quelli più forti, più furbi, più violenti di te. Quelli di una specie mutata, come la verdura della Terra dei fuochi, quelli che sopravvivranno a tutto, tranne a loro stessi.

di Giusy Cinquemani

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