Non possiamo nascondercelo che le minacce e gli avvertimenti fatti arrivare al procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato non rientrano nella logica delle “normali” intimidazioni che la mafia rivolge a chi ostacola i suoi interessi. Qui c’è molto di più. Chi può entrare nell’ufficio di un procuratore, lasciare delle minacce e manomettere la telecamera di sorveglianza senza essere visto? Qualcuno che ne ha le chiavi e che sa bene come cautelarsi per non essere visto. Qui non stiamo parlando di fatti ascrivibili alle note dinamiche mafiose. Qui c’è qualcosa di molto più inquietante che non può essere trattato come una semplice notizia da registrare e basta.

Non ho letto un editoriale (se non del nostro Travaglio) che prendesse posizione e commentasse quanto accaduto. Perché? In troppi hanno paura sapendo che qui in gioco ci sono quei centri di potere opachi o del tutto invisibili che manovrano purtroppo dentro le istituzioni. Da sempre, da quando è nata la Repubblica. Chi li tocca rischia grosso.

Il 28 ottobre Napolitano porgerà la sua testimonianza nel processo sulla trattativa Stato-mafia che va avanti tra molte difficoltà e una diffidenza diffusa. Scarpinato ha voluto lui stesso essere pm nel processo contro rappresentanti dello Stato per la mancata cattura di Provenzano esponendosi in prima persona. In questo momento. Un gesto forte, inusuale, coraggioso. Come si può non mettere in relazione questa scelta con le minacce che sta subendo? Vorrei che direttori di giornali, di telegiornali, dei media principali prendessero posizione su questo punto e difendessero senza paura un magistrato coraggioso e leale che vuole fare fino in fondo il suo mestiere di rappresentante della legge.  

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