Ho aderito all’invito degli Amici del Loggione del Teatro alla Scala il 25 settembre, nell’occasione di un incontro con Riccardo Chailly, nuovo direttore musicale del teatro. “Un incarico – dice lui schernendosi – non ancora formalizzato”.

Giunge puntuale, sorridente e gli si legge in viso l’agio di chi si sente a casa propria. E cosi è: milanese, assistente di Claudio Abbado, che alla Scala lo ha fatto debuttare nel 1978 ne “I Masnadieri” di Verdi. Quindi una lunga e per certi versi eroica parabola sul podio della Verdi, ai tempi vero workshop milanese della musica classica. A lui, infine, il compito di commemorare il suo mentore, con una Messa da Requiem di Verdi che dispiega un cast stellare.

Nella sala della gloriosa Associazione si avverte il fermento e la voglia di tutti di riappropriarsi appieno della tradizione scaligera e di trovarne finalmente un interprete. Questa rassicurante speranza passa dalle mirate parole di Chailly alle trepidanti domande del pubblico: le attese sono molte, le buone intenzioni, ci sembra, altrettante.

Il Maestro infatti rassicura il pubblico sulle scelte di future stagioni dal Dna italiano, allettando tutti noi con una velata promessa di sviluppare negli anni addirittura l’integrale pucciniana – Edgar compreso – e di attingere con dovizia al repertorio verista, da troppo tempo messo in disparte.

Certo non poteva parlare diversamente, in quella che, ormai solo all’estero, viene considerata la turbolenta arena che si inebria del sangue degli artisti, fischiati e impediti dal continuare. Lui stesso ha ricordato l’infausta serata in cui diresse l’Aida che Alagna disertò nel primo atto, subissato di fischi e rimpiazzato, con stile improbabile, dal cover in jeans.

Ma la cifra della serata è stata la vivificante conferma dell’umiltà e generosità di Chailly.

L’opera è in crisi, il combustibile scarseggia, molti dei suoi eroi sono spuntati e il suo pubblico è mesto: occorrono energia e approcci entusiasti, del tutto coinvolgenti. In tale prospettiva si è posta la figura di Riccardo Chailly. Il paragone è d’obbligo con Riccardo Muti, che è balzato nelle cronache recentissime per le devastanti vicende riguardanti l’Opera di Roma, culminate nel licenziamento di orchestra e coro. Devo concordare con Zeffirelli, che in una intervista rilasciata all’Ansa il 3 ottobre scorso, non esime Muti da responsabilità dirette negli eventi romani.

Certe asprezze dell’approccio del direttore, algido e un poco altero, gli sono già costate la crisi e poi la fine del suo rapporto col Teatro alla Scala nel 2005, relegandolo all’oscuro podio dell’Orchestra Giovanile di Piacenza. Tale vistosissimo limite dunque, che l’età ha comunque mitigato, fatti salvi i meriti del musicista Muti, non ha certo aiutato i suoi rapporti con le maestranze e l’organico dell’Opera di Roma, forse la piazza più problematica d’Italia, vessata da anni di angosce amministrative e gestionali.

Il direttore che indugia troppo all’autocelebrazione mortifica la sua artisticità, mostrando la sua fragilità umana invece di alimentare l’aura quasi sacrale che dal podio emana. Quello solo è il piedistallo che gli è concesso e da lì solamente può proclamare la sua grandezza, se ne è in grado. D’altro canto, nelle sue esternazioni deve dimostrare una vocazione ad andare irresistibilmente verso il suo pubblico, unico depositario del suo successo.

Un particolare ci conferma quanto questa sia la natura di Chailly, del tutto distante da quella del direttore pugliese. Infatti, per l’incompiuta Turandot, in programma nella incipiente stagione, ha scelto il finale di Berio, più raccolto e riflessivo di quello un po’ trionfalistico di Alfano, “Perché, dopotutto, Liù giace morta in scena”, precisa il Maestro..

Berio stesso, prima della sua scomparsa, ha illustrato a Chailly la gestazione di questo finale, la cui scelta dà corpo a un’appassionante promessa: un nuovo incontro con gli Amici del Loggione per illustrare al pianoforte e farci rivivere la genesi del finale, come Berio l’ha voluto. “Se volete…” – aggiunge il Maestro a un’incredula platea –  che a quel punto esplode in un sincerissimo applauso.

Se il buongiorno si vede dal mattino…

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