Alla fine sulle graduatorie di ammissione alle facoltà di Medicina l’hanno avuta vinta gli studenti: la scorsa settimana il Ministero dell’Istruzione ha emanato un decreto di proroga della chiusura delle liste, inizialmente fissata al primo ottobre, per evitare che centinaia di posti andassero perduti a causa degli intoppi negli scorrimenti. E dato così ragione a tutti quei partecipanti che da mesi protestavano, nel timore di essere tagliati fuori ingiustamente.

La vicenda nasce a inizio luglio, quando alcuni candidati notano che l’assegnazione dei posti procede più a rilento del previsto. I test di medicina, nel 2014 anticipati per la prima volta al mese di aprile mettevano in palio 10.551 posti, su scala nazionale. Il meccanismo elaborato dal Ministero prevede che solo i vincitori nelle sedi preferite vengano immatricolati immediatamente; gli altri risultano “prenotati” e possono attendere nella speranza di risalire in graduatoria. Questo, però, ha mandato in tilt il sistema. Anche perché alcuni studenti risultavano iscritti sia in atenei pubblici che in atenei privati: alla fine avrebbero dovuto rinunciare ad uno dei due (verosimilmente quello pubblico), ma non essendoci nulla che li obbligasse a farlo subito, c’era il rischio concreto di perdere diversi posti. Una prospettiva che spaventava gli aspiranti medici. E che invece lasciava dormire sonni tranquilli al Ministero: “Tutto procede secondo i tempi naturali, senza impedimenti”, rispondevano a luglio dopo essere stati interpellati. Per questo da viale Trastevere avevano negato anche l’utilizzo della “conferma d’interesse”, uno strumento che l’anno scorso si era rivelato utile per sbloccare la situazione.

Col passare delle settimane, però, la situazione non si è sbloccata. E così il Miur ha dovuto fare retromarcia: prima, ad agosto, è stata ripristinata la conferma d’interesse attraverso cui i candidati idonei venivano chiamati a confermare il loro interesse all’iscrizione entro il primo settembre, pena il decadimento dalla graduatoria. Adesso è arrivata anche la proroga (motivata con la “contemporanea presenza di candidati nelle graduatorie nazionali e di università non statali”), che ha cancellato lo spauracchio della tagliola del primo ottobre. Al 30 settembre, infatti, il quadro era tutt’altro che definito: dopo 15 scorrimenti c’erano ancora 940 posizioni vacanti. Se non ci fosse stato il decreto, gli attuali “prenotati” (730 circa) avrebbero dovuto comportarsi come gli “assegnati”, ovvero immatricolarsi entro quattro giorni. E ciò avrebbe comportato inevitabilmente una perdita di posti, perché alcuni (vuoi per la questione della doppia immatricolazione, vuoi per altre ragioni personali) avrebbero rinunciato.

Impossibile fare una stima precisa dei posti in pericolo, probabilmente tra le 200 e le 300 unità. Certo, resta ancora l’incognita della saturazione degli atenei e delle posizioni che potrebbero essere liberate dal passaggio al secondo anno di alcuni studenti. Ma i rischi maggiori sembrano essere stati scongiurati: tutti (o quasi) i 10.551 posti per il prossimo anno accademico dovrebbero essere assegnati.

 

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