A nessun altro sindaco sarebbe venuto in mente di licenziare in tronco gli orchestrali del teatro dell’Opera. Magari ha torto marcio anche questa volta. Magari avrebbe fatto meglio a risolvere le impuntature dei primi violini e dei secondi e dei terzi e concedere i 190 euro al giorno di diaria (oltre le spese) per le trasferte, contro i 160 (più spese) offerti e rifiutati. E richiedere al governo di ripianare i 30 milioni di euro di buco accumulati in questi decenni sbarazzini. Ma si è presentato a Roma con la sua faccia, ha firmato lui, non si è nascosto dietro un drappo di velluto.

Il sindaco Ignazio Marino sarà pure un signore eccentrico, un pedalatore peripatetico, un medico dal carattere permaloso, astronauta della politica che non conosce il valore della prudenza e il senso della complessità della sua funzione di sindaco. Lo si accusa di essere incompetente almeno quanto sprovveduto, e lunatico, inconsistente, forse fanatico, accentratore, sicuramente unfit per il governo della Capitale d’Italia. Non c’è un solo vivente di Roma, nativo o di passaggio, che gli risparmi qualcosa. Roma fa schifo, Marino pure. Di lui sono stufi i vigili urbani e i costruttori, gli intellettuali e i tassisti, i borgatari e i residenti del centro storico, i commercianti, gli studenti, i rom di periferia e i senzatetto storici, Renzi e Alemanno. Anche volendo prendere in considerazione tutto il male che Marino si fa da solo, spesso con dichiarazioni e provvedimenti avventati, sembra troppo. Questo sindaco ha trovato il Campidoglio sepolto da una coltre di debiti, commissariato dal governo e coperto dalla vergogna di avere un esercito di dirigenti macchiati dalla corruzione (ieri l’ultima visita della Guardia di finanza per sospette tangenti di ex assessori), con le società partecipate sull’orlo del fallimento: all’Atac, la società dei trasporti, s’inguattavano i biglietti venduti, a Roma Metropolitane si giocava a flipper invece di controllare i lavori per la nuova linea della Metro C, l’Ama non raccoglieva i rifiuti ma espandeva Malagrotta, il centro nevralgico della munnezza finanziaria, il numero dei funzionari infedeli faceva paura, come pure quello dei commercianti evasori, dei costruttori affamati, dei controllori estorsori, dei vigili addormentati, della criminalità di strada e di Palazzo.

E si può dire, con tutto il demerito che si vuole, che abbia almeno tentato di ripulire il volto sporco della Capitale. Marino non sarà un gigante e ha iniziato col piede sbagliato e forse continua col piede sbagliato. Ma se non avesse, come primo atto, chiuso al traffico veicolare i Fori Imperiali (e grande è stato lo scandalo!), adesso che i cantieri occupano metà della carreggiata quel luogo sarebbe divenuto una ciminiera caput mundi. Ha cambiato tutti i dirigenti delle società partecipate, magari incompetenti ma ancora non disonesti, garantito al bilancio comunale una via d’uscita anche se i soldi servono a coprire i buchi più che a sviluppare gli investimenti.

Ha preso di petto le bande criminali che hanno l’appalto dei tavolini all’aperto del centro storico, interessato tra l’altro a un vasto piano di ammodernamento della rete dei servizi, ha risolto con il minimo (e resta ugualmente ingiusto) dei danni economici la vertenza della Metro C che finalmente fa intravedere una data di fine lavori, ha chiuso Malagrotta, grazie alla Regione sta restituendo un futuro al muro urbano di Corviale, l’altra vergogna della periferia.

Sarà pure sbrindellato, ma non ha finora fatto marachelle con i costruttori, ha tenuto a distanza i mezzadri delle clientele, i dispensatori di favori a la carte. È solo e ha davanti a sé a una crisi economica che riempie gli animi di collera e mangia ogni civile convivenza. Fa poco, che è quasi niente, ma a lui per la verità non hanno dato un euro bucato in mano. Gli altri, quelli che profittavano dei debiti per fare altri debiti, invece dove sono, cosa fanno? C’è qualcuno che chieda conto?

il Fatto Quotidiano, 4 ottobre 2014

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