La storia dei “desaparecidos” di Cipro, probabilmente sconosciuta ai più, è una delle pagine più tristi della storia europea dell’ultimo mezzo secolo: nel decennio di instabilità seguito alla decolonizzazione dell’isola, l’escalation di tensione tra le comunità greca e turca degenerò in violenti scontri che raggiunsero l’apice con la guerra-lampo del ’74. Da allora, cioè da quando il paese venne diviso in due, tagliato dalla frontiera internazionale sorvegliata dai Caschi blu dell’Onu, molte famiglie hanno denunciato la scomparsa dei loro cari; secondo la Commissione di indagine sulle Persone Scomparse a Cipro (CMP) un organo condiviso dalle due comunità ed istituito nel 1981 sotto l’egida delle Nazioni Unite, dopo che le armi sono state deposte in oltre 2000 (1500 greci e 500 turchi) non hanno risposto all’appello. Interi villaggi, case o piccole comunità sono state colpite a freddo dai guerriglieri di una o dell’altra etnia e poi seppellite in fosse comuni; i massacri di Maratha, Santalaris e Aloda e quello di Assia, non saranno storicamente ben noti e certamente non sono stati pianti dal mondo come quello di Srebrenica ma sono ferite mai rimarginate che continuano a mettere i bastoni tra le ruote alla possibilità di riunificare l’isola e chiudere per sempre il capitolo dei fatti del ’74.

Dalla sua creazione, la CMP ha effettuato 901 scavi riuscendo a restituire ai familiari delle vittime i resti mortali di circa 500 ciprioti identificati. Ne mancano ancora all’appello 1500 ed oltre al lavoro della commissione c’è da 12 anni l’impegno di una nota giornalista turco-cipriota Sevgul Uludag che tramite il suo blog ed una linea telefonica diretta (con due numeri; uno turco, l’altro greco) svolge un lavoro di documentazione e chiede informazioni, anche anonime, a chiunque sull’isola possa fornire dettagli per identificare le vittime o sappia indicare altre fosse comuni: la commissione, infatti, ha assicurato immunità e protezione a chiunque contribuisca a ricostruire i fatti. Ma il lavoro della giornalista non è stato facile: grazie a lei sono stati identificati centinaia di corpi anche se convive ormai con le minacce di morte da parte dei responsabili degli eccidi; molti di loro sono ancora in vita e le loro reti familiari ed amicali, in una realtà piccola e locale come Cipro, hanno rallentato il corso delle indagini. Molti per interesse altri solo per il timore di ritorsioni.

Oggi finalmente, a distanza di 40/50 anni grazie alla triste esperienza maturata con le fosse comuni bosniache, la Commissione che indaga sui desaparecidos ciprioti può avvalersi dei laboratori scientifici di Sarajevo, già impiegati per identificare circa 30mila vittime della guerra in ex Jugoslavia: analizzano il Dna di ossa e resti rinvenuti nelle fosse che via via vengono scoperte a Cipro e lo incrociano con le informazioni del materiale genetico dei familiari che da mezzo secolo attendono il ritorno dei propri cari. Molti corpi, infatti, sono stati spostati da una fossa ad un altra con il macabro intento di confondere i resti e rendere, in assenza di tecnologia, impossibile il riconoscimento. Dare pace ai fantasmi di quel passato e ai loro familiari in terra è un passaggio obbligato nella prospettiva, ormai non più lontanissima, di una soluzione definitiva alla questione politica dell’isola.

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