“Cosa farò di fronte al mio Paese d’origine? Regole, niente altro che regole, sono qui per garantire la nostra funzione di controllori del bilancio e se un Paese non soddisfa gli obblighi del trattato e si trova sotto procedura come la Francia, io continuerò con la procedura“. E’ uno dei passaggi centrali del discorso che il commissario designato agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha tenuto in audizione all’Europarlamento. E quello che vale per la Francia, vale per tutti gli altri membri dell’Unione: “Direi una bugia se dicessi che sono qui per cambiare le regole (di bilancio, ndr), io sono qui per applicarle le regole“. Questo perché il punto di partenza a Bruxelles è sempre lo stesso, uguale per tutti, anche per l’Italia: “Flessibilità non può essere cambiamento delle regole né interpretarle in modo creativo e scapigliato, il nostro sistema è intelligente non rigido, si valutano molto gli sforzi strutturali, in Francia abbiamo fatto 1,2% nel 2012 e 1,3% nel 2013”.

La colomba Moscovici, quindi, si veste da falco per illustrare il manifesto programmatico del proprio mandato. L’ex ministro delle Finanze francese era stato indicato subito dopo la nomina come l’uomo che avrebbe potuto sostenere a Bruxelles le istanze dei Paesi in difficoltà, a far da contraltare al popolare Jyrki Katainen, ex premier finlandese notoriamente rigorista, designato vicepresidente responsabile per il lavoro, la crescita, gli investimenti e la competitività. Ma, com’era prevedibile, le parole del nuovo titolare degli Affari economici si innestano perfettamente nel solco della tradizione: “Stabilità e crescita non sono opposti, non c’è crescita senza riduzione dei debiti e non c’è riduzione dei debiti senza crescita – continua Moscovici – mi assicurerò che tutti, sottolineo tutti, rispettino le regole comuni. Tratterò tutti i Paesi sulla base delle stesse regole, sarò guardiano delle regole, sarò un arbitro giusto e imparziale per assicurare che tutti, sottolineo tutti, rispettino le regole comuni”. Ma, in parallelo, “occorre rafforzare la governance”, perché “non possiamo accettare un altro anno a crescita zero, quindi mi adopererò per il piano di investimenti di Juncker (presidente designato della Commissione Ue, ndr) perché la Ue ha urgentemente bisogno di investimenti per creare nuova occupazione. Bisogna agire insieme sia su riduzione del deficit che sulla crescita”.

Dopo il bastone, dunque, la carota. Gli investimenti Bruxelles li ha già annunciati, ora l’impegno è quello di far seguire i fatti alle parole. Il piano da 300 miliardi di euro di investimenti pubblico-privati annunciato dal presidente eletto della Commissione europea “è indispensabile”, abbiamo bisogno di investimenti, perché senza investimenti non c’è futuro”. La consapevolezza a Bruxelles non manca: “Va riconosciuto che oggi l’Europa per alcuni non è più un qualcosa di scontato, e non possiamo chiedere ai nostri cittadini di avere ancora pazienza”, oggi “dobbiamo dare risultati”. Qualche meccanismo, poi, ha bisogno di essere registrato: “Bisogna cambiare il funzionamento della Troika, (l’organismo di controllo dei Paesi creditori formato da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, ndr) dobbiamo essere meno intrusivi nel modo in cui chiediamo le riforme, ma erano riforme di cui la Grecia aveva fortemente bisogno quindi non bisogna accusare la Troika di essere inutile”. Uno degli obiettivi per i prossimi anni, in ogni caso, sarà quello di “aumentare la democrazia della Troika“.

Le parole di Moscovici arrivano dopo la dura presa di posizione arrivata mercoledì da Parigi contro le politiche di austerità imposte da Bruxelles. Rispondendo alle domande sul rapporto con la Commissione Ue, il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin annunciava: “Non chiederemo ulteriori sforzi ai francesi. Perché il governo adotta la serietà di bilancio per rilanciare il Paese, ma rifiuta l’austerità”. Il governo francese confermava, inoltre, il ritocco al rialzo delle stime del deficit, al 4,4% del Pil per il 2014 e 4,3% per il 2015, con il rientro sotto il 3% solo a fine 2017. Una sfida alla quale Angela Merkel rispondeva con il consueto rigore: “I Paesi devono fare i loro compiti, per il loro bene”. Il patto di stabilità e crescita “si chiama così perché non può esserci crescita sostenibile senza finanze solide”. Anche perché “non siamo ancora al punto in cui si possa dire che la crisi è alle nostre spalle”.

La “rivolta” del governo di Parigi era arrivata il giorno dopo l’annuncio del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che l’Italia arriverà al pareggio di bilancio solo nel 2017. Come scritto nero su bianco in coda alla nota di aggiornamento del Def approvata dal Consiglio dei Ministri di martedì sera, Roma ha infatti messo un punto fermo sugli impegni presi garantendo fin da ora che se non ce la farà nel 2015, l’anno successivo i soldi mancanti saranno chiesti ai contribuenti e scatteranno in automatico gli aumenti dell’Iva e delle altre imposte indirette per un controvalore di 12,6 miliardi sul 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018. Ma tra Roma e Parigi restano profonde differenze in tema di strategie, tiene a ribadire Padoan: “L’Italia ha in comune con la Francia una congiuntura economica “molto deteriorata” che “rende più difficile l’equilibrio sui conti pubblici”, “ma la nostra strategia di risanamento e riforme è diversa da quella di Parigi”, ha spiegato il ministro dell’Economia in un colloquio con Il Foglio.

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