Dopo la visita a Papa Francesco a Roma, i superstiti del peggior naufragio della storia del Mediterraneo approdano nell’Isola dove, durante un viaggio della speranza su un barcone libico un anno fa, annegarono in quasi quattrocento. Ad accoglierli il sindaco Giusi Nicolini, le associazioni promotrici del festival Sabir e molte personalità esperte del mondo dell’immigrazione. Così l’attesa diventa un’occasione per fare il punto sulla politica italiana, alla luce dell’annunciato disimpegno di Mare Nostrum, la missione umanitaria di ricerca e soccorso in alto mare che prese il via proprio all’indomani di quella tragedia. L’opinione è unanime: l’impegno della Marina militare italiana deve andare avanti. “Chiudere Mare Nostrum significa accettare che i morti sono solo numeri”, attacca Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci. E a chi pensa che l’operazione sia stata un incentivo all’aumento dei viaggi dei clandestini, risponde Mussie Zerai, prete considerato ‘l’angelo dei migranti’: “L’unico incentivo alle partenze è il caos in Libia”. Alganesc Fessaha, esperta di migrazioni e tratta degli esseri umani, chiede l’istituzione di corridoi umanitari: “Ma non da Tripoli, dove è in atto una guerra fra bande. Al contrario dai paesi più stabili del Continente come Etiopia, Marocco e Tunisia”  di Lorenzo Galeazzi

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