Julia Pierson, capo del Secret Service, si è dimessa dopo i ripetuti scandali sulla sicurezza della Casa Bianca. Una decisione che arriva dopo i fatti che nelle ultime settimane hanno mostrato gli errori degli agenti dei servizi americani nella tutela dell’incolumità del presidente degli Stati Uniti. “E’ doloroso lasciare ma è chiaro che il Congresso ha perso fiducia in me. Le dimissioni erano la cosa più nobile da fare”, ha detto Pierson, che fino a pochi giorni fa aveva difeso l’integrità e l’efficienza del suo corpo. Le sue assicurazioni erano state accolte con generale scetticismo da deputati e senatori, e attorno alla “sicurezza del presidente” si è scatenato un nuovo caso politico.

A dare la notizia è stato il segretario alla Sicurezza Nazionale, Jeh Johnson, che dice di aver ricevuto e accettato la richiesta di Pierson. Proprio ieri, il capo del Secret Service era stato convocato dalla commissione di Supervisione alla Camera sull’episodio del 19 settembre, quando il veterano Omar J. Gonzalez era riuscito a eludere la sorveglianza e a introdursi all’interno degli appartamenti privati della Casa Bianca dove risiede Barack Obama con la famiglia. L’episodio aveva fatto emergere le gravi lacune nel sistema di sicurezza. Il portavoce del presidente, Josh Earnest, ha dichiarato che lo stesso inquilino della Casa Bianca “è arrivato alla conclusione che per il Secret Service serve una nuova leadership”. Pierson lavorava per il Secret Service da 30 anni.

E’ il 16 settembre scorso quando Barack Obama entra nell’ascensore dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta. Attorno a lui, come al solito, ci sono gli agenti del Secret Service. Ma su quell’ascensore c’è anche un uomo della sicurezza del palazzo. Si comporta in modo non professionale; scatta foto del presidente. Quando i suoi responsabili vengono informati, l’uomo viene immediatamente licenziato. Solo allora emerge che la guardia, durante il viaggio in ascensore, era armata. A nessuno degli agenti della sicurezza era venuto in mente di perquisirlo. Di più: salta fuori che l’uomo era stato arrestato più volte, l’ultima nel 1996.

La notizia di Obama sull’ascensore di Atlanta – che contravviene a una delle regole più rigide dei servizi americani: nessuna persona armata può stare vicina al presidente, se non appunto un membro della sua sicurezza – emerge mentre il Secret Service è già da giorni nell’occhio del ciclone. Il Washington Post ha per esempio raccontato una storia rimasta a lungo sepolta. Tre anni fa, un uomo di 21 anni parcheggiò la sua macchina di fronte alla Casa Bianca, arrivò sino al cancello e sparò una serie di fucilate in direzione della residenza. Dopo l’iniziale sconcerto, gli agenti del Secret Service decisero che si era trattato di una serie di colpi sparati da gang locali in lotta tra loro. Fu solo alcuni giorni dopo, quando una donna delle pulizie trovò i resti dei vetri frantumati dai colpi, che si fece strada l’ipotesi, poi confermata, che qualcuno avesse davvero sparato per colpire la Casa Bianca.

Il vero episodio che resta però ancora avvolto da diversi misteri riguarda Omar Gonzalez, il veterano della guerra in Iraq che il 19 settembre, armato di un coltello, è riuscito a saltare la cancellata della Casa Bianca, correre indisturbato per circa 70 metri, entrare dalla porta principale, che era aperta, superare l’opposizione di un agente e infine entrare nella East Room, una sala usata per il cerimoniale. Gonzales, che aveva parcheggiato davanti alla Casa Bianca un’auto imbottita di munizioni, è stato bloccato dagli agenti soltanto alle porte della Green Room, un altro spazio usato come salotto e sala da tè. Oltre alla dinamica dei fatti, qui i Servizi sono finiti sotto accusa anche per aver cercato di sviare le indagini. Per giorni i responsabili della sicurezza di Obama hanno detto che Gonzalez era disarmato e che era stato fermato nel North Portico, quindi fuori della Casa Bianca. Semplici casi o qualcosa di più, si chiedono ora in molti, di fronte a una sequela di errori che fanno pensare a una banda di dilettanti piuttosto che al corpo responsabile di una delle persone più potenti, e minacciate, al mondo. Già nel passato c’erano stati episodi che avevano sollevato dubbi su preparazione e coordinamento degli agenti.

Nel 2009, alla prima cena di stato offerta da Obama, Michael e Tareq Salahi, una coppia che voleva partecipare al programma tv “The Real Housewives of D.C.”, riuscì a passare lo sbarramento del Secret Service all’entrata della Casa Bianca e si aggirò, senza invito, per i saloni della residenza, conversando amabilmente con il presidente, la moglie Michelle e il vice Joe Biden.

“Il popolo americano vuole sapere: il Presidente è davvero al sicuro?”, si era chiesto solennemente il deputato repubblicano Darrell Issa, di solito uno dei critici più severi della Casa Bianca. Come lui hanno fatto molti altri repubblicani, che in queste ore hanno messo sotto accusa l’intero sistema della sicurezza attorno a Obama. L’obiettivo, fanno notare alcuni, poteva anche non essere la tutela dell’incolumità di Obama stesso, ma il desiderio di sottolineare ancora una volta la presunta incompetenza di questa amministrazione. Dopo il cattivo funzionamento del sito dell’Obamacare, la disastrosa gestione della salute dei veterani e le esitazioni su molte crisi internazionali.

Aggiornato da Redazione Web alle 21.29

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