Dobbiamo restare freddi. Sereni. E anche un poco onesti intellettualmente. Senza farci prendere dalle convenienze del momento. Abbiamo sofferto vent’anni la presenza distruttiva di Massimo D’Alema? Certamente sì. Abbiamo considerato lui e i suoi cari una delle più grandi sciagure che ci potessero capitare? Altrettanto certamente sì. Andare al governo senza farsi votare, con un “colpo di Palazzo” (così lo definì Berlusconi, cosa che peraltro ha fatto anche Renzi), costituì una lesione politica difficilmente rimarginabile? A voi la risposta. Passaggi che non possiamo dimenticare e che ancora segnano il popolo della sinistra, ancor più dolorosi perché D’Alema era considerato uomo dall’intelligenza vivida, purtroppo confinata in un ego smisurato che lo ha portato al tracollo.

Se tutto questo è vero e pare difficilmente contestabile, non è minimamente immaginabile ripararsi sotto l’ombrello di D’Alema solo per dare addosso a Matteo Renzi. Faremmo torto alle nostre, di intelligenze. Tradiremmo la storia di questi anni, chiuderemmo in un antro buio tutti i nostri patimenti che invece abbiamo sempre ascritto alla sua arroganza, a quel modo oltremodo sussiegoso di considerare gli umani di destra o di sinistra che fossero, a quel fastidio plastico e disgustato per ogni dissenso, a quell’avere della politica un’idea elitaria, persino settaria. (Alcune di queste proprietà fanno parte anche del bagaglio dell’attuale presidente del Consiglio).

Così Bersani, per motivi diversi. Anche sotto il suo ombrello non sarebbe dignitoso ripararsi, detto subito che la sua umanità, la sua bonomia, il suo modo di farsi sentire dalla gente, dal popolo della sinistra, sono esattamente il contrario, in termini di calore, di ciò che suscitava D’Alema. Per cui, se da una parte ci sarebbe da bersi una bella birra con il mitico Pierluigi, dall’altra non possiamo dimenticare che aveva il biglietto vincente della lotteria e lo ha buttato via. Con un vantaggio di cinque o sei punti su tutti a una settimana dalle elezioni, riuscì a farsi rosicchiare l’intero tesoretto meno un soldino, che gli permise, a posteriori, un’amara consapevolezza: «Siamo primi, ma non abbiamo vinto».

Ebbene, i due battuti dalla storia e da se stessi oggi avrebbero un piccolo popolo di supporto non tanto per la loro dimensione politica, quanto per l’avversione dichiarata a Matteo Renzi. E anche il sarcasmo di Massimo D’Alema, che ha visto giorni decisamente migliori (“non vedo premi Nobel tra i collaboratori del premier”), non appare credibile per i motivi che gli ha ricordato proprio Renzi nella sua replica in direzione.

Questo per dire che per il contrasto a Renzi, almeno sulle idee che non paiono convincenti, è utile appoggiarsi a spalle più credibili. Perché in questo modo l’operazione di critica sarà certamente più efficace, e non produrrà l’intima soddisfazione del premier che è assolutamente convinto che «ogni volta che Bersani e D’Alema si mettono insieme mi fanno un grande favore e un bello spot». Intima soddisfazione che sarebbe ingenuo non considerare legittima.

“La vecchia guardia è spianata”, questo il pensiero liquidatorio del premier a conclusione di uno scontro impari. Era forse un ultimo atto dei due, più dimostrativo che veramente sostanziale, qualcosa come il ruggito di due leoni un po’ spelacchiati che fanno spazio a malincuore al giovanilismo rampante del nuovo arrivato.

Urgono avversari più credibili per Matteo Renzi. Persone che con una preparazione approfondita sulle materie sappiano puntualmente identificare punti di forza e di debolezza, che non abbiano rancori pregressi, ma la testa sgombra dai pregiudizi. Persone alle quali Renzi non potrebbe destinare le sue solite battute da bar, ma disporsi giudiziosamente in termini di confronto alto. Ce ne sono nel Pd? Ce ne sono fuori dal Pd? Renzi di queste persone ha bisogno (anche se probabilmente le teme). Insomma, persone un po’ meglio (professionalmente) dei suoi amici. Se si fanno sotto, lui sbaglierà meno.

 

 

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