Se è preciso, nitido, elementare, il momento in cui un regime comincia a sopraffare la democrazia – e lo si fa coincidere inevitabilmente con la privazione dei diritti civili – decisamente più parcellizzata e del tutto pacifica è la costruzione di un “regimetto”, quella condizione sociale in cui uomini di potere, in un ambito totalmente democratico, distillano le proprie, imbarazzanti, veline, spacciandole per discorsi alla nazione, utilità sociali, momenti di coesione con i cittadini. Queste sollecitazioni contengono elementi di una comicità irrefrenabile, per restare al costume (gelati….!!!!), e fermandosi unicamente ad essi, si potrebbe chiudere la faccenda con un’alzata di spalle o una grassa risata. Se poi però li metti in fila e ne fai una piccola analisi, la conclusione potrebbe almeno rifarsi a Flaiano, per cui la situazione «è grave ma non seria». Se non qualcosa in più. Il riferimento a Renzi e alla sua comunicazione non è ovviamente casuale.

So che molti hanno considerato un regime gli anni di Berlusconi. Sono convinto che la democrazia non abbia rischiato la sua integrità per cui non sono su questa lunghezza d’onda, anche se momenti di tensione sociale ci sono stati e certamente «estremi»: la volontà di imporre il proprio avvocato-pregiudicato in posti-chiave del governo, gli editti bulgari e molto altro di forte impatto emotivo. Ma i nostri diritti primari, almeno secondo il mio modesto punto di vista, non hanno mai tremato.

Tutt’altra rappresentazione è quella che abbiamo sotto gli occhi da quando a Palazzo Chigi è andato Matteo Renzi. La sua visione provinciale delle istituzioni, il circondarsi di soli fedelissimi e non proprio tutti capaci, il ridurre il perimetro d’azione alla sola Toscana, elementi ampiamente dibattuti e racchiusi nel cattivissimo editoriale di Ferruccio de Bortoli, il quale ha voluto perfidamente aggiungere “uno stantio odore di massoneria”, sono certamente significativi di un certa idea del Potere.

Qui però si vuole prendere in esame unicamente il modo di comunicare del nostro presidente del Consiglio, uno dei campi più delicati nell’esercizio del Potere, soprattutto perché la comunicazione al tempo dei “social” ha accorciato notevolmente le distanze tra politica e cittadini. E sotto questo cielo sappiamo tutti che il nostro Renzi è un vero ganzo. Solo che tra essere semplicemente un ganzo alla Renzi e rischiare di utilizzare i mezzi a tua disposizione in maniera, diciamo così, celebrativa (o auto celebrativa) il passo è cortissimo. E si rischia, appunto, l’odor di velina.

Due episodi, per stare alle ultime ore. Uno sinceramente straordinario, scoperto da quell’abile ficcanaso (giornalisticamente parlando) di Giuseppe Alberto Falci. Quando me lo sono visto in pagina e poi ho scorso il racconto non ci volevo credere. Dagli States il nostro bravo ragazzo sollecitava una struttura interna a Palazzo Chigi perché da tutti i cantieri sparsi sul territorio, gli operai, le maestranze tutte, mostrassero il volto buono e sorridente del Potere con dei «selfie» significativi. Mi raccomando: voi in primo piano con i vostri sorrisi rassicuranti e proletari e dietro le gru, le scavatrici, le betoniere, segno inequivocabile di un Paese in movimento, che ha preso la strada del cambiamento e da lì ripartire.

L’altro episodio di queste ore. Il più depressivo di tutti, anche sotto il profilo della scenografia, non solo dei contenuti. Quattro minuti “aerei” in cui sgranare il solito rosario del “ce la possiamo fare”, “ce la dobbiamo fare”, in cui farci sapere che abbiamo conquistato gli States e se le Americhe erano già state avvistate nel 1492, oggi – anno di grazia 2014 – ribadire il concetto con qualche secolo di ritardo.

Insomma, tira un’arietta da Minculpop (mica roba seria, eh).  

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