I dieci giorni che cominciano il 24 settembre, vigilia del Capodanno ebraico, e finiscono il 4 ottobre, giorno di Kippur (espiazione in ebraico), sono un periodo di riflessione che ogni individuo, e il popolo stesso, deve fare su azioni, peccati e meriti dell’anno uscente. Questa estate di guerra fra Hamas e Israele richiede un’ulteriore analisi. Il Medio Oriente è confuso più che mai, alleanze impensabili – Siria e Stati Uniti, Iran e Stati Uniti, Hezbollah che bombarda postazioni in Siria – oggi s’impongono come un dovere di real politik per fermare il cosiddetto “califfato”. L’Isis ha una particolarità che non trova riscontri in nessun movimento terroristico precedente. I suoi membri non rappresentano una comunità, uno stato, una regione, e non sembrano interessati a migliorare la vita della popolazione nelle zone da loro occupate, e certo non badano alla sicurezza dei paesi dai quali provengono. Questa libertà totale da ogni vincolo etico e affettivo li rende poco vulnerabili agli attacchi delle coalizioni che hanno contro.

La confusione politica richiede un uso preciso delle parole per descriverla. Talvolta gli intellettuali – filosofi, scrittori, poeti – si affrettano a prendere posizione, dare suggerimenti, tentare di afferrare una realtà liquida e addirittura esplosiva. Non è il caso di Meir Wieseltier (vedi intervista a il Fatto Quotidiano del 21 Agosto), uno dei maggiori poeti israeliani del XX secolo, che nelle sue poesie ha riflettuto sull’arduo compito di dover cogliere la complessità politica mediorientale con mezzi poetici.

 

Il guaio del poeta

Nelle calamità dei tempi il cuore

si stringe per gli orrori che s’irradiano

dinanzi a lui giorno dopo giorno

sullo schermo. Il poeta siede e scrive:

“vieni, bambino arabo, / troverai rifugio nelle stanze del mio cuore.”

 

No, fratello mio poeta

bugiardo, vestito di licenza poetica,

nel tuo cuore non c’è rifugio per nessun bambino.

E che farà un bambino in un ambiguo rifugio del genere?

Il cuore che palpita nel tuo petto a malapena darà

rifugio temporaneo metaforico

ai tuoi figli sangue del tuo sangue. E questo è un problema.

 

Nelle calamità dei tempi

continua il poeta e scrive:

“sotto l’elmetto, soldato, / il cervello della tua testa è fatto di cartone.”

 

No, la testa del soldato sotto l’elmetto

non è fatta di cartone.

Il cervello tremolante nel suo cranio

è cervello di carne. Fra un’ora

forse verrà colpito da una pallottola, fra un anno

forse scriverà anche lui con il cuore spezzato.

E questo è un problema.

 

La matita in mano è leggera, leggerissima, la tastiera

così sensibile, che si abbandona

senza problemi a ogni tocco leggero.

E questo è un problema.

(traduzione di AA)

 

Spero con queste mie parole di non aver avuto la tastiera troppo “sensibile” e un tocco “leggero”. In periodi di crisi politica non è una cattiva idea ascoltare i poeti.

Articolo Precedente

Intercity Festival, alla Limonaia il teatro come antidoto alla guerra

next
Articolo Successivo

‘Christiane deve morire’, il nuovo romanzo di Veronica Tomassini

next