Nomi di peso, come Renato Schifani e Antonio Azzollini. Peones e portatori di voti, come Antonio D’Alì, Tonino Gentile e Maurizio Bernardo. Una lista di quindici nomi è già sul tavolo del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Quindici fra senatori e deputati pronti a lasciare la sede di via del Tritone del Ncd per tornare fra le braccia del padre. “Un’operazione – spiega al IlFattoQuotidiano.it un senatore forzista – che va avanti da tre mesi e che di fatto cambierebbe il quadro politico”. Al punto che in Transatlantico qualcuno conviene nel dire, forse con un pizzico di cattiveria, che la creatura del ministro dell’Interno “farà una fine peggiore di quella di Scelta Civica”.

Esperienza finita, insomma? Battute a parte, da giorni Silvio Berlusconi, tornato a fare il presidente del partito “a tempo pieno”, lavora in questa direzione in una trattativa con i dissidenti “alfaniani” che sarebbe stata portata avanti dal capogruppo al Senato Paolo Romani. Con il contributo “prezioso” di una vecchia volpe forzista del ‘94, come Gianfranco Micciché, che si starebbe muovendo fra le varie regioni dello stivale, in particolare nelle regioni del sud.

“Un lavoro certosino”, spiegano i bene informati, in cui un animale da palazzo, come Romani, avrebbe avuto il compito di raccogliere i malumori presenti all’interno del gruppo parlamentare di Palazzo Madama. Malumori che si sono manifestati anche nei giorni convulsi dell’elezione dei giudici della Corte Costituzionale e dei membri laici della Consulta. Con assenze di peso, secondo alcuni “tattiche“, che hanno acceso più di un campanello di allarme nell’entourage dell’ex delfino del Cavaliere. Al punto che occorre riportare indietro le lancette per comprendere lo stato di salute di Ncd. Per l’appunto, occorre tornare all’assemblea nazionale del partito dello scorso luglio allo Spazio Novecento della Capitale. In quell’occasione, infatti, non si arrivò allo strappo per la mediazione di Angelino Alfano, che riuscì a contenere i dissidi interni, tenendo insieme un’assemblea che gli stava per sfuggire di mano. Ma le cronache politiche di allora certificano e ricordano lo scontro al vetriolo tra la pasionaria Nunzia De Girolamo e la ministra Beatrice Lorenzin. Scontro che rientrò per ordine di Alfano e del coordinatore nazionale Quagliariello, ma che rimase ad accompagnare i racconti sui dietro le quinte delle riunione a porte chiuse di via del Tritone.

Del resto, il nodo principale – quello che anima il dibattito interno – è sempre, lì, irrisolto. Un nodo che rimanda alla due anime del partito. Una filo-berlusconiana (con Nunzia De Girolamo in testa), che crede sia necessario ricucire con Berlusconi per creare un’alternativa al centrosinistra e all’inquilino di Palazzo Chigi. L’altra metà del campo, invece, ritiene che “siamo in una fase post-ideologica”, e arriva a teorizzare la necessità di un rapporto organico con Matteo Renzi. A guidare la squadra da questa metà del campo c’è la “renzianissima” Beatrice Lorenzin insieme alla costola socialista di Fabrizio Cicchitto e Maurizio Sacconi – convinti più che mai che si debba entrare a Largo del Nazareno, e addirittura prendere la tessera.

Già, l’ingresso organico nel Pd. Uno scenario neanche preso in considerazione dalla maggioranza del gruppo di Ncd. Men che meno dagli amministratori locali. Nei territori si soffre, risulta difficile spiegare ai cittadini che “al governo siamo con la sinistra”. E lo stato di insofferenza è tale che ogni giorno consiglieri comunali o regionali abbandonano la “ditta” alfaniana, preparando lo sbarco in Forza Italia. Solo la scorsa settimana, in Calabria – regione che nel prossimo novembre tornerà alle urne – l’assessore regionale Nazzareno Salerno e il consigliere regionale Fausto Orsomarso (vicini all’ex governatore Giuseppe Scopelliti ormai in orbita berlusconiana in virtù del rapporto con Jole Santelli, amica di Francesca Pascale n.d.r), si sono autosospesi sostenendo che “esiste una condizione di impraticabilità politica”. E aggiungendo all’unisono che “abbiamo dovuto verificare un’impostazione verticistica e percorsi che poco o nulla hanno a che fare con i destini della Calabria e tanto invece riguardano i percorsi romani”.

Ma i percorsi romani sono tortuosi: il sentiment sta mutando. Di fatto la lista dei transfughi, come dicevamo sopra, è già agli atti sul tavolo dell’ex Cavaliere. Una lista che a Palazzo Madama, al momento, annovera: il presidente della commissione Bilancio Antonio Azzollini, i calabresi Giovanni Bilardi, Nico D’Ascola e Piero Aiello, il potentino Guido Viceconte, il campano Giuseppe Esposito, e i siciliani Renato Schifani, Simona Vicari e Antonio D’Alì. Mentre a Montecitorio, Nunzia De Girolamo, Barbara Saltamartini, Dorina Bianchi, Luigi Casero, Maurizio Bernardo, Filippo Piccone, Vincenzo Garofalo e Raffaello Vignali. Ovviamente, l’ordine di scuderia degli (ex) alfaniani in orbita berlusconiana impone che le bocche restino cucite.

Tutti muti, guai a svelare la strategia. Soltanto Renato Schifani, sentito indirettamente da alcune agenzie, avrebbe smentito categoricamente affermando che non abbandonerà il partito, confermando, però, l’esistenza di alcune criticità. Criticità che rimandano alla mancata nomina di “Renatino”, lo chiamavano così gli ex dc di Palermo, a capogruppo al Senato della nuova creatura centrista, la Costituente popolare, che ancora oggi tarda a decollare. E, soprattutto, le criticità delle quali parla l’ex presidente del Senato rimandano ai molteplici incontri avvenuti nelle precedenti settimane, in estate in un noto albergo di Cefalu, tra l’ex presidente del Senato e il forzista Gianfranco Micciché. Ammiccamenti che sarebbero serviti a riavvicinare l’avvocato di Palermo all’inquilino di Arcore grazie all’aiuto di Miccichè. Quest’ultimo, infatti, sarebbe uno degli uomini da cui ripartirà Silvio Berlusconi per la rifondazione di Forza Italia.

Naturalmente, chi conosce i dettagli della strategia spiega a IlFattoQuotidiano.it, che l’operazione tutelerà anche l’esecutivo di Matteo Renzi. E affinché non ci siano contraccolpi numerici al Senato sulla tenuta della maggioranza, ci sono alcune iniziative tese a surrogare numericamente, in particolare i senatori che dovessero ritornare “agli ordini di Berlusconi, per garantire al governo almeno 170 voti.

Twitter: @GiuseppeFalci

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