Parecchio illuminante, sul tema del lavoro e dell’articolo 18, è stata la trasmissione di ieri sera di Piazza Pulita. Illuminante soprattutto nel mettere a fuoco come la via d’uscita da una morsa fatta di povertà, disoccupazione e crisi è talmente stretta che ci vorrebbe uno stratega veramente lungimirante per imboccarla, e purtroppo non è il nostro caso.

C’era Sergio Cofferati, ovvero la linea del diritto: a sentirlo parlare con calma e profondità veniva come una sfrenata nostalgia di quella piazza, e dei suoi valori, di cui non c’è più traccia. La sua posizione è quella dell’estensione del diritto, non della riduzione, partendo dal fatto che non sono i diritti a creare disoccupazione, ma la sconcertante mancanza di investimenti in innovazione e produttività del nostro paese. Dall’altra parte, Francesco Giavazzi, liberal liberista, rappresentava la posizione della flessibilità tutelata, in parte sovrapponibile a quella di Cofferati, ma solo in parte: flessibilità per tutti, in modo anche da ridurre il divario tra garantiti e non garantiti, riduzione drastica delle tasse sul lavoro (per un costo di circa 40 miliardi, stimava l’editorialista del Corriere) ammortizzatori sociali veramente estesi a tutti. Con quali soldi? Sforamento del deficit, proprio come hanno fatto Francia ed Europa, anche a costo di aprire un duro scontro con l’Europa.

Terza posizione, quella del governo, rappresentata da un’Alessandra Moretti a tratti imbarazzante: flessibilità per tutti, abolendo articolo 18 e necessità di reintegro. E vaghissima promessa di ampliamento delle tutele nel Job Act. Peccato che i soldi non ci siano, e stando a quanto ha rivelato sempre ieri sera Giorgia Meloni il governo ne sarebbe perfettamente consapevole, ma punterebbe tutto sull’effetto scenico della riforma dell’art. 18 e della flessibilità per dare l’impressione di star lavorando sodo. Sforare il 3 per cento? Non se ne parla, e ancora non è chiaro il motivo.

Poiché purtroppo al governo non c’è Cofferati, né Giavazzi, ma Renzi e i suoi inconsistenti ministri, ciò che ci attende è grossomodo questo: drastica riduzione delle tutele per i garantiti, che in teoria dovrebbe favorire maggiore assunzione. Peccato che, senza investimenti sulla produttività, cioè senza aumentare il lavoro, e senza una riduzione delle tasse sul lavoro, gli imprenditori continueranno ad usare i contratti precari. Ma visto che i più tutelati spariranno a quanto pare, come i cocopro, oggi comunque considerati baciati dalla fortuna, aumenteranno ancora di più partite Iva e collaborazioni una tantum e discontinue. Queste ultime, poiché l’estensione delle tutele e della disoccupazione per loro non ci sarà, saranno completamente scoperte e vulnerabili. Morale della favola: saremo tutti più poveri e probabilmente non più occupati. E sapere che chi è al governo non è consapevole di questo scenario non conforta. 

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