Roma-Cagliari era anche la partita del ritorno all’Olimpico di Zdenek Zeman. Ma l’emozione si esaurisce nei secondi dell’uscita dagli spogliatoi: uno sguardo alla curva, tante foto, mille ricordi, forse qualche rimpianto (per il tecnico boemo, non certo per i tifosi giallorossi che oggi si godono la miglior squadra d’Italia). Poi l’arbitro fischia l’inizio. E sul campo non c’è partita: come in Champions League contro il Cska Mosca, i ragazzi di Rudi Garcia divorano terreno ed avversari. Due gol in meno di un quarto d’ora, tre punti in cassaforte. Senza alcuna fatica.

Per arginare questa Roma, in questo momento, non basta un Cagliari più prudente del solito: il 4-3-3 per l’occasione diventa quasi 4-5-1 in fase difensiva, una rarità per Zeman. E neppure la sorpresa Alessio Cragno fra i pali, all’esordio in Serie A a soli 20 anni. Il talentino scuola Brescia non può nulla al decimo, sulla solita triangolazione Gervinho-Florenzi, che mette Destro in condizione di firmare l’1-0. Passa una manciata di secondi e Florenzi fa il bis. Due riserve, sulla carta, in campo perché Totti non è eterno e il nuovo arrivato Iturbe è infortunato. Ma Garcia sembra aver costruito una macchina perfetta, che gira sempre a cento all’ora: possono cambiare gli interpreti, anche grazie ad una rosa davvero profonda, non il risultato. E tantomeno lo spettacolo.

Poi il Cagliari ci mette del suo: l’atteggiamento tattico è leggermente diverso, non la concentrazione difensiva. Le imbucate sulle fasce sono incomprensibili per i terzini sardi, sempre infilati alle spalle; e anche i tentativi di alzare la linea sono maldestri, come nel caso del 2-0 nato da un fuorigioco non riuscito. In attacco i movimenti sono simili, cambia la qualità dell’esecuzione (perché Farias decisamente non assomiglia a Gervinho), forse anche un po’ la convinzione. E quando invece riparte la Roma il pericolo è costante. Come sempre, la chiave di tutto è il tridente giallorosso, fantastico anche senza Totti. La posizione del numero dieci la prende spesso Florenzi, che ci mette più corsa e intensità che qualità. Come Destro garantisce più freddezza sotto porta (anche se ancora sembra non avere la serenità dello scorso anno: le scorie di un mercato vissuto da possibile partente devono essere smaltite). Tante variabili per un gioco indecifrabile. La costante invece è Gervinho, l’unica pedina veramente insostituibile per Garcia: dalla sua velocità e dalle sue serpentine nasce praticamente ogni azione della squadra. Il quadro è completato dalla mediana, dove la condizione straripante di Nainggolan e Keita fa dimenticare l’assenza di Pjanic e Strootman. Fino a quando la Roma giocherà così, la tenuta della retroguardia (che ha perso Benatia, e deve fare i conti con tanti infortuni) resterà una frontiera inesplorata.

Dopo la sfuriata iniziale, gli ospiti si risistemano e contengono il passivo, senza pungere praticamente mai: nullo Sau, irritante Farias, volenteroso ma impreciso Ibarbo. Da una squadra di Zeman, onestamente, ci si poteva aspettare di più. Anche i ragazzi di Garcia, col passare dei minuti, spingono meno sull’acceleratore: hanno giocato la settimana scorsa in Champions, giocheranno di nuovo mercoledì per il turno infrasettimanale e sabato nell’anticipo. Essere grandi vuol dire pure saper dosare le energie. Anche perché nel finale De Rossi chiede il cambio per una botta alla gamba sinistra: un altro stop da valutare, cominciano a diventare troppi in quest’inizio stagione. Ma la partita era finita molto prima, quasi subito: il maestro boemo, almeno per oggi, non fa brutti scherzi. E neppure il Cagliari e Daniele Conti, storicamente bestie nere dei giallorossi, non fermano la Roma. Un treno in corsa all’inseguimento della Juventus. Dopo tre giornate in classifica ci sono già loro davanti a tutte.

 

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