In attesa che diventino realtà con l’inserimento nella legge di Stabilità, sale l’appetito per gli incentivi alle municipalizzate che decideranno di aggregarsi. Un bonus concepito in scia al dichiarato intento del governo di “sfoltire” il numero complessivo di società partecipate dagli enti locali che, secondo la recente radiografia del commissario uscente per la spending review, Carlo Cottarelli, sono particolarmente afflitte dal male dell’inefficienza e dei conflitti d’interesse. Ma il rischio dietro l’angolo della proposta in gestazione – che nelle parole del premier Matteo Renzi mira allo sfruttamento delle economie di scala – è che a beneficiarne siano i soliti, pochi, noti. Se infatti la norma è stata annunciata senza il supporto di numeri, in Piazza Affari – tanto quanto nelle giunte comunali – i calcoli sono iniziati subito. E i risultati parlano abbastanza chiaro.

Come quelli evidenziati da un recente studio degli analisti di Equita Sim secondo il quale tra le aziende che si occupano di servizi pubblici locali c’è molta polpa. In particolare una sessantina, tra quelle medio-grandi, sarebbero prede molto ghiotte, capaci di portare in dote a un eventuale acquirente complessivamente quasi 2 miliardi di euro di margine operativo lordo. Soldi che, sempre secondo la società di intermediazione di titoli, farebbero un gran bene ai bilanci dei possibili “predatori”, cioè i quattro grandi operatori italiani del servizio idrico, dei rifiuti e dell’energia: la lombarda A2a, la romana Acea, l’emiliana Hera e la piemontese Iren. Società che hanno tre caratteristiche in comune: sono tutte quotate in Borsa, hanno un alto livello d’indebitamento (compreso tra i 2,4 e i 3,8 miliardi di euro) e soprattutto hanno tra i propri azionisti grandi e medi Comuni amministrati dal centro sinistra: Torino, Genova, Piacenza, Reggio Emilia, Parma, Milano, Brescia, Modena, Bologna e Roma. Senza contare il piano che prevede una ulteriore fusione tra Iren e A2a. In pratica seguendo il filo dell’analisi, emerge che i primi beneficiari della normativa sarebbero poche grandi società, alle quali verrà permesso di crescere a tutto vantaggio dei loro maggiori azionisti, che da questa nuova dimensione potranno trarre i benefici ogni anno con l’incasso dei dividendi, magari ponendo un argine ai propri problemi di bilancio.

L’effetto per il cittadino, quello di Udine come quello di Asti, quello di Novara come quello di Ascoli Piceno, sarà invece un allontanamento dal “centro decisionale”, che si sposterà verso i grandi centri urbani, mentre il servizio all’utenza verrà garantito da call center. Per quanto riguarda le tariffe del servizio idrico integrato, che vengono decise da un Autorità indipendente, non è automatico un aumento, anche se risulterà sempre più difficile con queste “macro aziende” controllare in che modo il livello degli investimenti previsti ed effettivamente realizzati (da cui dipende l’aumento tariffario) sia davvero necessario e non risponda invece a una logica di “crescita a prescindere”. Per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti, invece, è facile immaginare che il processo di aggregazione immaginato renderà più difficile la raccolta differenziata, perché almeno A2a, Iren ed Hera sono aziende proprietarie di impianti di incenerimento rifiuti, alcuni anche recentemente inaugurati, e queste “macchine” devono essere alimentate.

In generale nel 2013, le quattro utility controllate dai maggiori Comuni italiani hanno chiuso bilanci con fatturati compresi tra i 3,4 (Iren) e i 5,6 miliardi di euro (A2a), ma soffrono un pesante rischio di mercato, legato alle condizioni atmosferiche, che per esempio nell’ultimo periodo estivo hanno ridotto la domande di energia elettrica. Per reggere l’urto, hanno bisogno di spalle più larghe. E le spalle su cui poggiano le aziende che gestiscono servizi pubblici locali sono gli utenti: così, la possibilità di acquisire società con margini operativi positivi – e i relativi contratti di fornitura – è un toccasana. 

Secondo gli analisti, a poter trarre i maggiori benefici da una norma “pro-aggregazioni” sarebbe Hera. La società che fa capo al Comune di Bologna (9,9%) e quello di Modena (9,8%) è la prima azienda italiana per quanto riguarda la gestione del ciclo dei rifiuti e sarebbe favorita da una presenza diffusa in quattro Regioni: Emilia-Romagna, Marche, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Oltre che dal peso ridotto delle pubbliche amministrazioni, dato un azionariato spezzettato tra circa 190 enti locali che “rende la presenza pubblica nella gestione societaria dell’azienda meno intrusiva”. E potrebbe accorpare fino a 16 aziende locali non quotate dei territori dove  è già presente, portando “a casa” margini per 320 milioni di euro.

In Lombardia, invece, sarebbero una decina le possibili prede di A2a: l’acquisizione di società non quotate che garantirebbero all’azienda oggi controllata equamente dai Comuni di Brescia e Milano col 27,4% ciascuna, di aumentare il proprio margine di 220 milioni di euro. Secondo gli analisi, A2a “può giocare un ruolo cruciale nei processi di aggregazione”. Cioè mangiarsi tutto quel che si muove in campo di acqua, energia e rifiuti in Lombardia, da Acsm-Agam a Linea Group Holding. Per Iren, la preda più ambita si chiama Smat, cioè la società interamente pubblica partecipata dal Comune di Torino e da circa 300 enti locali della Provincia, che gestisce il servizio idrico integrato nell’ATO 3 Piemonte: l’acquisizione di Smat garantirebbe un aumento del margine operativo lordo di 152 milioni di euro.

Complessivamente, sono una decina le società non quotate “preda”, tra la Liguria, il Piemonte e la Valle d’Aosta, dove anche Cva, cioè la società pubblica per la produzione di energia elettrica della Regione autonoma della Valle d’Aosta (con un margine positivo di 199 milioni di euro), potrebbe essere obbligata ad entrare nell’orbita di Iren. La posizione meno ottimale, almeno secondo il rapporto, è quella di Acea: una espansione della utility romana, già oggi una multinazionale nell’ambito del servizio idrico integrato, sarebbe più “problematica” data la presenza del Comune di Roma come azionista di maggioranza al 51%, seguito dal gruppo Caltagirone e dai francesi di Gdf-Suez, non propriamente in accordo tra loro. Difficile, insomma, davanti a questi numeri sostenere che siano tutte le aziende più piccole le mele marce tra le controllate dagli enti locali.

di Luca Martinelli 

Articolo Precedente

Ponte sullo Stretto, l’appaltatore Salini-Impregilo: “Renzi riconsideri dossier”

next
Articolo Successivo

Servizi pubblici locali, Fassino e Pisapia aprono alle nozze. Per ridurre i debiti

next