Le prime tre cose che vengono in mente parlando del Giappone? Mazinga, l’impeccabile servizio ferroviario e ovviamente il Super Nintendo. Sebbene oggi l’industria videoludica stia progressivamente spostando il suo baricentro sempre più a occidente – complice la crisi creativa ed economica che negli ultimi anni ha colpito buona parte delle software house del Sol Levante – il Tokyo Game Show continua ad abbagliare gli appassionati di tutto il mondo con il suo fascino esotico.

Dopo Los Angeles, sede dell’imponente E3, e Colonia, patria da diversi anni della Gamescom, tocca alla metropoli nipponica farsi capitale dell’intrattenimento elettronico dal 18 al 21 settembre.

Quattro giorni in cui giornalisti e visitatori paganti potranno addentrarsi e girovagare tra decine di stand dei più rinomati publisher del mondo. Un’occasione particolarmente indicata, a metà strada tra una festa autocelebrativa e il più formale dei meeting tra addetti ai lavori, per esplorare la galassia di prodotti ideati per il mercato locale (che non giungeranno mai nel Vecchio Continente) e verificare lo stato di salute dei principali titoli next-gen. Tra i più attesi, dal pubblico dagli occhi a mandorla ma non solo, figurano Metal Gear Solid 5: The Phantom Pain, attesissimo ritorno della rinomata saga partorita dal visionario Hideo Kojima, e Bloodborne, risposta di Sony al fenomeno Dark Souls. Nintendo, che come da tradizione non presenzierà in prima persona l’evento, si affiderà alle terze parti per promuovere 3DS e Wii U: i grandi attesi, in questo senso, sono Bravely Second e Monster Hunter 4 Ultimate.

E Microsoft? Dopo il disastroso lancio della sua Xbox One in terra nipponica – le foto dei centri commerciali senza file chilometriche parlano da sole – la casa di Redmond tenterà di fare breccia nei cuori dell’utenza autoctona, da sempre restia ad accettare prodotti stranieri,  puntando forte su due generi poco conosciuti dalle nostre parti: shmup, sparatutto bidimensionali tanto in voga ai tempi delle care e superate sale giochi, e visual novel, avventure grafiche dove l’interazione è ridotta e sacrificata in favore di complessi intrecci narrativi.

Al di là dei singoli giochi, quella di quest’anno sarà un’edizione del Tokyo Game Show particolarmente delicata. Se non destano sorpresa le scarse vendite di Xbox One, fa strano rilevare l’esiguo numero di PS4 e Wii U installate nelle case dei giapponesi. Mentre il resto del mondo ha salutato con gioia l’arrivo di una nuova generazione di console (l’ammiraglia di Sony ha già superato i 10 milioni di pezzi venduti), la patria dei videogiochi sembra restia ad abbracciare la next-gen. La causa di una tale contrazione potrebbe riguardare il già citato spostamento di baricentro dell’industria: sviluppatori occidentali realizzano giochi per il pubblico occidentale dai gusti e preferenze sensibilmente diversi da quello asiatico. Incapaci di rispondere con l’efficacia d’un tempo, i colleghi ad occhi a mandorla faticano a dare il loro contributo alla causa, coinvolgendo scarsamente il pubblico di casa nel salto generazionale richiestogli.

Non mancherà qualche annuncio bomba (occhi puntati su Sony che terrà una conferenza proprio in quei giorni) e sembra ormai giunta l’ora per i primi price cut che attireranno orde di indecisi. I tempi, tuttavia, sembrano irrimediabilmente cambiati. Anni fa, il mondo videoludico fremeva in attesa della manifestazione nipponica grazie anche a una Nintendo attivissima e quanto mai generosa di succose novità. Oggi, il sogno di visitare in prima persona il TGS, appare più come il capriccio di qualche geek a caccia di stramberie nipponiche: un’esperienza affascinante, ma non più vitale ai fini di comprendere i futuri andamenti dell’industria.

Ad ogni modo, da appassionati di videogiochi ad appassionati di videogiochi, buon Tokyo Game Show a tutti. Non sarà più quello di una volta, ma la curiosità resta tantissima. 

A cura di Lorenzo Fazio

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