“La Scozia indipendente sarà una socialdemocrazia simile ai paesi Nord europei: equa e giusta e ricca”, continuano a ripetere gli attivisti della Yes Campaing, la coalizione che chiede la secessione da Londra. Al suo interno ci sono dallo Scottish national party, il partito di maggioranza al parlamentino di Edimburgo, al gruppo politico “Radical indipendence”, che chiede l’uscita dalla Nato, fino agli immigrati di Italians for Yes. Ma nella galassia por-secessione sono più le affinità che le divergenze: le parole d’ordine sono autonomia fiscale, welfare, stop agli armamenti nucleari, sanità gratuita e lotta alle diseguaglianze. “La nazione scozzese ha un’idea di società molto diversa da quella ultraliberista e agli ordini della finanza di Westminster”, spiega Marco Biagi, deputato Snp e leader della campagna per l’indipendenza. Gli fanno eco i gruppi più radicali convinti che l’unico modo per combattere la povertà di massa sia il commiato dal Regno Unito, a loro dire responsabile, a causa delle sue politiche scellerate, di aver affamato il popolo scozzese. Non ultimi gli italiani residenti nel paese britannico che vedono nell’indipendenza della Scozia una sorta di riscatto del nostro Mezzogiorno. Una cosa è certa: questo referendum potrebbe mandare in pezzi la Gran Bretagna e, a cascata, anche l’Unione Europea. Ma i comitati nazionalisti non ci pensano: perché per loro secessione significa lotta all’austerità e inclusione sociale  di Lorenzo Galeazzi e Andrea Valdambrini

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Referendum Scozia, non è vera democrazia

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