La scuola ha bisogno di tante cose, è un fatto. Che attraversa mille difficoltà, è un altro. Che andrebbe insegnato più ‘900 ne ho già scritto. Che molti insegnanti siano ogni volta sulle barricate e vanno avanti nonostante siano travolti da mille rulli compressori quotidiani non se ne parla mai abbastanza. Quanto alla parola “riforma”… mah, somiglia sempre più a “gratis” o “corso di scrittura creativa”.

Nel frattempo, in attesa che tutto accada, vorrei vedere quell’esercito di insegnanti che non ha mai saputo trasmettere (non voglio dire passione, magari) curiosità, voglio dire quelli che insegnano perché un posto vale l’altro, perché il punteggio glielo permette, perché tanto è sempre meglio che lavorare, perché a scuola come in fabbrica ha trovato quel piccolo feudo che ne riscatta una vita misera di “potere”, quelli che ai ragazzi chiedono solo di ripetere a memoria ciò che dice il libro, in un pensiero fotocopia che abbruttisce tutto e fa odiare la cultura, vanifica il senso dell’istruzione, insomma: quelli che sanno ed è la sola cosa che possiedono. Ecco, questi: li vorrei vedere altrove a fare danni, non in una scuola dove sapranno scoraggiare gli studenti con pretese e compiti dal gusto di castigo, magari portandosi appresso quei dirigenti scolastici autoelettisi ad amministratori condominiali della scuola. 

Per dirla con le parole di un amico e padre, Cesare, che non si rassegna ai rassegnati e che quando s’incazza è per passione: “Amici, portate pazienza se insisto.
C’è bisogno di insegnanti che sappiano e insegnino che i mulini a vento occupano poche righe delle centinaia di pagine del “Don Chisciotte” (il capolavoro di Cervantes è il primo della mia classifica personale); insegnanti che facciano capire che l’Inglese – così come altre lingue – non serve solo per “trovare un lavoro”, ma per socializzare, per parlare col mondo e conoscere gli Altri (maledetta la prof che mi insegnò solo “the pen is on the table”); insegnanti di Matematica che trasformino la loro materia in poesia (si può! La matematica è piena di letteratura!); insegnanti di Geografia meno interessati a quanto carbone si ricava da quel terreno africano e piuttosto a chi lo estrae e in quali condizioni; insegnanti di Ginnastica (io la chiamo ancora così) che conoscano il corpo umano e il cervello che lo fa muovere e che non tutti gli studenti hanno la stessa fisicità e la stessa testa; insegnanti di Storia che non chiedano solo “Quando è avvenuto? Voglio sapere la data! La data!”, ma che facciano rivivere gli episodi, gli ambienti e le persone che ci hanno preceduto. Non sarebbe difficile proseguire. Insegnanti che collaborino fra loro, ad esempio. Oppure che conoscano e amino il Teatro, il Cinema, l’Arte. Una parola sola: emozioni. Comunque, fate un po’ come volete, se pensate di andare lontano. Finora si è visto dove siamo arrivati.” 

E già che ci siamo, i genitori facciano la loro parte: essere padri e madri non è “alibi” sufficiente per delegare il resto agli insegnanti. Proteggiamo i figli da quella scuola senza aspirazioni ed esaltiamo quegli insegnanti che amano quello che fanno, sapendo amare i nostri figli anche se non sono loro.

 

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