Quando si sono riaccese le luci, all’anteprima romana del film Everyday Rebellion, per un attimo abbiamo avuto il timore di stare in una delle scene più celebri di Io sono autarchico: “No il dibattito no!”.

Per fortuna sia il regista che una delle protagoniste del documentario, Inna Shevchenko, leader delle Femen hanno risposto in maniera esauriente, paziente e senza fronzoli alle domande.

La visione del film-documentario trasmette l’entusiasmo e la passione che hanno guidato i registi, Arash T. Riahi (presente alla proiezione) e suo fratello nello scrivere, proporre e realizzare l’opera.

Ci sono voluti tre anni per trovare i fondi necessari (il film ha attinto anche al “Programma Media” della Ue) per la realizzazione del film – ha spiegato il regista iraniano – Il problema è che volevamo raccontare tutti i movimenti nonviolenti dei cittadini nel mondo e mentre giravamo in Spagna, succedeva qualcosa in Siria, quando eravamo in Francia, avremmo dovuto raccontare il Venezuela. A un certo punto i nostri finanziatori hanno detto: basta così. Concludiamo le riprese e realizziamo il film…“.

Guardando il documentario subito si viene proiettati nel racconto della vita di sette movimenti diversi in tutto il mondo, dagli ‘Indignados‘ di Spagna a ‘Occupy Wall Street‘ a New York, fino al movimento ‘Femen‘ in Ucraina. Le loro rivendicazioni possono sembrare non avere nulla a che vedere l’una con l’altra, se non per la comune scelta di utilizzare lotte nonviolente.

Il documentario trascina così, avanzando cronologicamente lo spettatore da un movimento ad un altro: dalla preparazione delle mobilitazioni, fino alla realizzazione delle pratiche nonviolente. Si possono vivere le diverse scelte di azione, le reazioni della polizia, i codici inventati per allineare tutti i manifestanti e prevenire la maggior parte dei arresti, la preparazione su cosa fare in caso di reazione violenta e sulla eventualità di arresti.

Storie che sembrano frammentate ma che in realtà sono unite dalla consapevolezza che la lotta nonviolenta sia l’unica strada percorribile, come spiega bene il serbo Srđa Popović (il suo movimento Otpor ha contribuito a far cadere il regime di Milošević): “Se devi gareggiare con Tyson è meglio che lo sfidi a una partita a scacchi”.

E’ proprio questa la tesi che riaffiora e guida tutto il documentario: rispondere alla violenza con la violenza ti porta sicuramente a perdere. Mentre se riesci a resistere almeno due anni e mezzo – è questo il tempo minimo necessario a queste pratiche per attecchire – e riesci a spiazzare tutti utilizzando la creatività, allora potrai avere l’attenzione e la solidarietà da tutto il mondo. E, soprattutto, se sei in un regime non democratico, alla sua caduta “avrai diritto a sederti con gli altri gruppi e partiti con gli stessi diritti“, come spiega bene Popović nei seminari sulle lotte nonviolente che tiene a Belgrado.

Ogni forma di protesta che rispetti questi principi è buona: vestirsi da pagliacci distribuendo abbracci; scrivere sulle palline da ping-pong un messaggio e farle rotolare per le scale nei centri delle città; lanciare palloncini in aria comandandone l’esplosione con un fermaglio per i capelli e un cubetto di ghiaccio, riuscendo cosi a spargere centinaia di documenti in tutta la città senza essere rintracciati; dipingersi uno slogan sul petto e manifestare a torso nudo come fanno le Femen. Ciascuna di queste azioni pacifiche attiva la cittadinanza e suscita l’attenzione dei media, riuscendo a raggiungere l’obiettivo.

Altro aspetto importante in tutte queste mobilitazioni è l’utilizzo dei Social Media. Ma, come capitò con il Popolo Viola, non come luogo (o meglio “non luogo”) dove far avvenire le azioni, ma come strumento per organizzare e diffondere. Per poi passare al coinvolgimento fisico di ciascuno, in piazza o per le strade. Altrimenti, se si viene confinati solo al web (come capita spesso con le centinaia di petizioni che firmiamo), spiega ancora Popovic, diventa solo “clickattivismo”.

Centrale nel documentario è la storia di Inna Shevchenko, tra le fondatrici del movimento ucraino Femen. Ieri ci teneva a spiegare che l’uso che loro fanno della nudità è di tipo politico, e non certo per compiacere gli uomini, e che combattono contro tre grandi poteri: la Chiesa, le dittature e la repressione sessuale. Nel film c’è il racconto della sua vita da nomade (è fuggita dall’Ucraina perché la sua vita era a rischio) mentre prepara le sue azioni e forma nuove attiviste.

Insomma, il mio consiglio è di non perdere l’occasione di andare al cinema questa volta non per fantasticare e rilassarvi, ma per imparare e mettere in pratica.

Everyday Rebellion uscirà nelle sale in 15 (sic) copie l’11 settembre.

Il documentario ha una grande valore didattico sulla diffusione delle strategie nonviolente, passata la distribuzione nei cinema, se qualche scuola volesse utilizzarlo?

Alla mia domanda ha risposto prima Franco Zuliani delle Officine Ubu (che dopo “Sacro Gra” continua egregiamente la distribuzione di “Documentari” nelle grandi sale): “La nostra mail è web@officineubu.com, siamo disponibili a qualsiasi iniziativa”. E poi il regista Arash T. Riahi: “Il nostro è un progetto crossmediale che passa attraverso il sito, io e mio fratello viviamo in Austria, non siamo così lontani no? Basta contattarci e vediamo se possiamo intervenire di persona o via Skype”.

L’invito è lanciato, vediamo chi risponderà.

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