“Il Re è morto. Viva il re!”: ripetuta tre volte dall’araldo annunciava la morte del sovrano e la proclamazione del successore a garanzia della continuità della casa regnante.

Oggi, alla commemorazione del 13° anniversario del Nine Eleven questo potrebbe essere anche l’annuncio qaedista. Da quel tragico 2001 le cose sono cambiate, ben oltre un’Odissea, non solo sul piano normativo e del “counter” ma sul versante interno al terrorismo jihadista.

Mi soffermo in breve su questi aspetti.

Due morti sono le pietre miliari in questa vicenda: prima quella di al-Zarqawi, poi quella di Osama Bin Laden. Zarqawi rappresentava l’ala militare di AQ, fondatore del futuro Islamic State, movimentista e “cinetico”, in conflitto con l’intellettuale al-Zawahiri: la sua morte ha risolto il conflitto e ha indirizzato il corso qaedista dal 2006 in poi. Osama era il capo, solo, carismatico: la sintesi unica possibile di un movimento più frammentato di quanto si supponesse, pertanto egli era la vera identità comune al suo popolo.

Le due morti hanno inevitabilmente condotto alla leadership di Zawahiri, capace di sopire lo scontento di una “Base” via via meno solida grazie a una intelligente strategia (da lui già cominciata nel 2006) di riconoscimento di progressiva autonomia delle affiliazioni locali. Zawahiri è stato il manager che ha fatto galleggiare AQ e, di conseguenza, il suo potere. Ma non è stato in grado rilanciarla sul piano dell’afflato verso il futuro necessario a mantenere la coesione ideale tra i membri, sempre più raccolti in bande feroci con connessioni strette alla criminalità organizzata.

Questi anni, pertanto, sono stati una progressiva lenta morte di quell’Al-Qaeda autrice del Nine Eleven che si commemora. Ma ciò non vuol dire che il pericolo del qaedismo e la minaccia che esso rappresenta si sia ridotto. Tutt’altro. Esso si è evoluto nella nuova forma rappresentata dallo Stato Islamico anche se esso non ha l’imprimatur del leader formale di AQ.

L’altro giorno l’evidenza del nuovo corso – che è riscontrata nei fatti di una organizzazione terroristica che si auto definisce “Stato”, controlla un territorio di 90.000 kmq, gestisce milioni di dollari giorno – è stata dichiarata in tv dal bambino educato da Is: “Siamo i nipoti di al-Zarqawi. Pronti a combattere”. Dunque il primo rilevante cambiamento è che la contesa, mai sopita tra due linee ideologiche e strategiche di AQ, si è risolta con Is a favore di Zarqawi. Una contesa che così risolta giustifica i comportamenti brutali di al-Baghdadi, il nuovo Zarqawi, espressi nelle decapitazioni frequenti. Metodo contestato proprio da Zawahiri in una lettera del 2006, perché poco accettabile da una buona parte dei musulmani. Ora non è più così.

Il secondo rilevante cambiamento si esprime con la rapida evoluzione di “una continuità”: la comunicazione del terrorismo. La comunicazione, una specifica forma di lotta di ogni terrorismo che trova nella minaccia la sua sopravvivenza, ha i toni di massimo successo per AQ proprio col Nine Elven in mondo visione. Ed essa continua con una strategia capace di incorporare stili e tecniche della modernità. Ma…. Ma è solo Is che riesce a fruttare nella loro completezza sia i normali canali mediatici sia le attuali piste virtuali dei social network. Sul piano tecnologico e comunicativo mai come ora abbiamo potuto vedere sia filmati per il broadcasting tradizionale (le decapitazioni), sia profili Facebook e Twitter che perseguono con effetti virali l’obiettivo del reclutamento, sia comunicazioni istituzionali che rappresentano la vita quotidiana del Califfato. Non che AQ non avesse utilizzato i social e le cosiddette nuove tecnologie della comunicazione. Però mai sono state utilizzate con tanta consapevolezza nella definizione dei target e nella molteplicità dei messaggi, ben articolati rispetto ai destinatari e ai canali utilizzati. Non si tratta più di un uso sporadico e da “amatori evoluti”, si tratta di un uso consapevole e professionale in contenuti e tecniche che esplicita un “ministero della comunicazione” di Is.

La via ministeriale è la terza rottura significativa di questo nuovo qaedismo dello Stato islamico. La creazione di un Califfato era proposta già da Zawahiri nel 2006, per cogliere l’occasione del “vuoto” che – come sosteneva – gli americani avrebbero lasciato andandosene dall’Iraq. Il 29 giugno del 2014 si realizza con Is. Ma Is interpreta il Califfato senza confini dell’Umma, transnazionale e “aperto”, collocandolo in un preciso spazio geografico. Ci sta: Is era già da prima organizzato al suo interno  in province, aveva una propria struttura “para-statale” che lo caratterizzava rispetto agli altri movimenti. Dunque il Califfato così realizzato è ritagliato addosso a Is stesso. Così come il progetto di progressiva istituzionalizzazione del Califfato a cui assistiamo: la comunicazione della normalità della vita nei territorio controllati, la volontà di attrarre famiglie dei combattenti offrendo stabilità quotidiana, un sistema economico che per la prima volta si basa sulla gestione delle risorse locali (dal petroli alle “tasse” dei taglieggiamenti) e non sulle “donazioni” dall’estero sono tutti segni della sua progressiva stabilizzazione e, appunto, istituzionalizzazione.

La vecchia al-Qaeda abbozza e gioca di sponda, cerca espansione in India e Bangladesh quando jihadisti nord africani, filippini, indonesiani hanno già riconosciuto formalmente come capo al-Baghadadi. Insomma, in questo anniversario al-Zawahiri ha un probabile mal di pancia. Ma buona parte del mondo potrebbe avere delle coliche: infatti Is rappresenta la più significativa minaccia che il terrorismo ha presentato al mondo dal Nine Eleven e richiede, per essere affrontato, una chiara consapevolezza della “lesson learned” di questi anni di guerra al terrorismo sul piano della revisione delle strategie e delle tattiche, ma anche delle politiche interne dei singoli stati rivolte ai fiancheggiatori del terrorismo e delle politiche internazionali che ormai interpretano un Medio Oriente allargato che non c’è più.

Al Qaeda è morta! Viva Al-Qaeda!

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