Cultura

Da Gaza a Kiev, gli scrittori in guerra. “Quando gli israeliani ci presero la casa”

Al Festival di Mantova autori palestinesi, russi e ucraini hanno raccontato in prima persona i drammi dei loro Paesi. Suad Amiry: "L'occupazione dei territori è una storia tremenda". Dal poeta Barghouti appello all'embargo contro Tel Aviv. L'ucraino Kurkov: "Putin non si accontenterà di Crimea e Donbass"

di Emanuele Salvato

Il dramma delle case “rubate” ai palestinesi, le migliaia di vittime nel conflitto infinito con Israele, l’Europa che dovrebbe smetterla di armare gli “aggressori”. E ancora i tumulti di piazza Majdan a Kiev, la guerra nel nordest ucraino, le manie imperialiste di Putin che anche in patria sta agendo in maniera sempre più autoritaria. Questi alcuni dei temi che gli scrittori dei paesi in guerra, ucraini e palestinesi, hanno affrontato al Festivaletteratura di Mantova, conclusosi domenica scorsa con un nuovo record di presenze

In un Festival che gli anni passati ha dato molto spazio ad autori israeliani, quest’anno gli organizzatori hanno deciso di realizzare un focus sulla Palestina. La scrittrice e architetto di Ramallah, Suad Amiry, ha incentrato il proprio intervento sull’occupazione dei territori da parte degli israeliani e sulle case che migliaia di palestinesi sono stati costretti a lasciare per far spazio alle famiglie degli occupanti. Un argomento che la scrittrice – resa celebre da “Sharon e mia suocera” – ha approfondito nel suo ultimo libro, “Golda ha dormito qui”, raccogliendo le storie vere delle persone cacciate dalla propria terra e dalle proprie abitazioni. Lei stessa ha subito questa sorte: “Quella della perdita delle case – ha detto Amiry – è una storia tremenda. In pochi l’hanno raccontata perché è si tratta di una vicenda dolorosa per noi. Una vicenda che è iniziata nel 1948 ed è proseguita anche nel 1967. Io ero bambina e ricordo il caos. La gente sbattuta fuori di casa senza nemmeno il tempo di raccogliere le proprie cose. Molti tornano, oggi, a osservare le loro case e vederle abitate dagli israeliani riapre ferite mai chiuse”.

Fra il pubblico presente all’incontro, una signora israeliana prende la parola. La voce è rotta dall’emozione: “A mio padre – dice – avevano offerto una casa di palestinesi nei territori occupati di Gerusalemme. Ma lui rifiutò, dicendo che non era giusto. Disse a me e mia madre: ‘Se un giorno tornassero i veri proprietari non saprei proprio come comportarmi’. Questo per dirvi che anche fra gli israeliani ci sono persone che capiscono il vostro dolore e non condividono l’azione del governo di Netanyahu“. E l’attenzione si sposta sulle vicende d’oggi, sugli attacchi a Gaza, sulle vittime civili nella striscia, sui molti bambini che hanno pagato con la vita un conflitto che non hanno certo voluto: “L’occidente – ha detto – dovrebbe prendere una posizione decisa e netta contro gli attacchi israeliani. E il boicottaggio dei prodotti israeliani dovrebbe essere più esteso”.

E, invece, l’Italia, ad esempio, è il primo fornitore d’armi europeo dell’esercito israeliano. Nel 2012 sono state vedute armi per 470 milioni. Un argomento, quest’ultimo, che il poeta Mourid Barghouti (guarda l’intervista video) ha ripreso nel corso del primo dei due interventi che l’hanno visto protagonista chiedendo che l’Europa la smetta di fornire a Israele “armi, pezzi di ricambio per i carri armati, strumenti di tortura utilizzati nelle carceri. Il mio appello all’occidente è non armate più l’aggressore, si realizzi una specie di embargo e si applichino le sanzioni. Non è più accettabile il massacro che sta subendo il mio popolo”. L’autore di “Ho visto Ramallah” ha anche ricordato il ruolo che può avere la letteratura e, in particolare, la poesia in questa lotta di resistenza contro “le continue aggressioni degli israeliani”.

E lo ha fatto elebrando il più grande poeta palestinese, Mahmoud Darwish, scomparso nel 2008. Un poeta che scrisse di Gaza definendola “città pronta a farsi esplodere per far sapere che anche lei e i suoi abitanti hanno il diritto di esistere”. “Darwish – ha proseguito Barghouti – era il Neruda dei Palestinesi. Ha sacrificato tutta la propria vita per la poesia. Alla poesia ha dato tutto. L’eleganza della sua parola era il suo modo di vendicarsi dell’occupazione israeliana, il modo per rispondere a quel politico israeliano che aveva detto che la Palestina non poteva essere una nazione, perché non aveva una cultura, una letteratura, degli intellettuali”.

Dalla Palestina all’Ucraina. Il Festival degli “scrittori in guerra” ha ospitato il più importante autore ucraino di lingua russa, Andrei Kurkov (guarda l’intervista video), autore del recente “Diari Ucraini” (Keller editore). Un libro in cui l’autore racconta le vicende di piazza Majdan a Kiev, nel suo periodo più caldo, dal novembre 2013 all’aprile del 2014. Ogni giorno Kurkov è sceso in piazza, fra la gente, raccontandone le emozioni, tratteggiando l’evoluzione delle vicende che oggi hanno portato a una guerra civile nell’est del paese, dove si fronteggiano filorussi ed esercito ucraino. “Non è vero – ha detto Kurkov – che nel nord-est lo scontro sia tra ucraini e russofoni: i russofoni sono ovunque in Ucraina, nel numero di circa 12 milioni e, oltretutto, pochi di loro sono a favore della mentalità russa e della federazione russa”. Confermando quello che molti ucraini sanno già, ossia che il problema da quelle parti sono le mire espansionistiche di Vladimir Putin intenzionato a riannettere alla Russia, dopo la Crimea, anche l’intera regione del Donbass.

Ma secondo Kurkov il leader russo non si fermerà nemmeno dopo aver conquistato questa porzione di terra: “Putin vuole arrivare a controllare Kiev“, ha detto. E una conferma di quanto affermato dallo scrittore ucraino arriva dal collega russo Vladimir Sorokin che al Festival ha presentato il suo ultimo romanzo “La giornata di un Opricnik“. L’autoritarismo di Putin, secondo Sorokin, è esploso con le smanie di conquista dei territori filorussi dell’Ucraina, ma da tempo si sta manifestando anche all’interno della Russia, definita “un mix molto pericoloso di ata tecnologia e aspetti medievali che ha in Putin un leader assoluto, quasi monarchico. Putin controlla le televisioni e i giornali – ha spiegato ancore lo scrittore russo – e ora sta iniziando anche a controllare le pubblicazioni letterarie, i libri considerati pericolosi per il potere costituito da lui stanno diventando oggetto di pressanti attenzioni da parte della magistratura”. Inutile dire che i libri di Sorokin sono fra questi.

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