Dopo aver letto di robot che siedono allo stadio in luogo dei tifosi e aver saputo di altri surrogati meccanici che possono soffiare il posto di lavoro a chi ne è alla disperata ricerca, c’è chi spera in qualche news che gli consenta di tirare un sospiro di sollievo. Il timore di vedere un automa in azienda è scongiurato? Niente affatto, ma a tremare per il proprio destino dovrà essere il capo di chi – a forza di leggere certe angoscianti storie futuribili – si vedeva prossimo ad esser sostituito da un ammasso (non necessariamente antropomorfo) di circuiti elettronici.

La notizia, dal vago sapore di rivincita per i sottoposti di qualunque organizzazione pubblica o privata, arriva dal Computer Science And Artificial Intelligence Lab (Csail) del Massachussets Institute of Technology: un dirigente-robot è sperimentato che sia preferito ad un collega in carne ed ossa e a decretarlo è il risultato di una attenta ricerca. Fino ad oggi i vantaggi dell’automazione erano emersi nei processi produttivi del fronte manifatturiero, dove gli “umani” da quarant’anni sono stati liberati dal giogo dei compiti più faticosi e noiosi (pagandone il prezzo in termini di spazi occupazionali nei cosiddetti “heavy duties“, quei lavori pesanti in cui le macchine hanno avuto una penetrazione costata comunque licenziamenti e prepensionamenti).

La sperimentazione ha dimostrato che affidare il controllo di risorse umane ad un robot assicura non soltanto maggiore efficienza, ma soprattutto un più elevato gradimento da parte dei lavoratori. Matthew Gombolay, dottorando al Mit e project leader dello studio in questione, assicura che un capo-robot rende il personale più soddisfatto e in grado di performance maggiormente elevate.

Le cavie dello studio del Csail sono stati due uomini e un robot, che hanno lavorato insieme in tre differenti condizioni di impiego: manuale (con l’assegnazione alle persone di tutte le attività previste), autonomo (tutti i compiti assicurati dal robot) e semi-autonomo (una persona che assegna a se stesso specifiche mansioni e il robot che incarica l’altro uomo di svolgere precisi compiti). Quest’ultimo assetto ha garantito i risultati più soddisfacenti e i lavoratori che hanno partecipato all’esperienza si sono fatti l’opinione che sia più facile capire gli ordini di un robot, rispetto quelli impartiti da un superiore vivo e vegeto.

Viene un legittimo dubbio. Davvero così bravi gli androidi? Viene da pensare che la colpa di tale disequilibrio sia da imputare ai “capi” tradizionali. Il deterioramento degli ambienti di lavoro (che porta ad auspicare l’apparizione di un nuovo manager con bulloni e pulsanti) è uno dei primi pestiferi bacilli che hanno reso endemica la crisi che stiamo vivendo.

Quando si è pensato di nobilitare i lavoratori cominciando a parlare di “risorse umane”, si è immediatamente dimenticato il significato di “risorse” e “umane”. La mia breve esperienza in una grande azienda mi ha consentito di constatare la ridotta capacità del management a farsi apprezzare. La saccenza ingiustificata di persone miracolosamente piovute ai vertici delle imprese per meriti genealogici o di partito non lascia spazi ad un dialogo costruttivo e poco alla volta soffoca il senso di appartenenza anche nei dipendenti maggiormente motivati e consapevoli dell’importanza della coesione nei momenti difficili.

Non tutti hanno la pazienza di aspettare un direttore-robot e qualcuno si arrende prima del suo approdo. Nel frattempo i colossi dell’economia si accorgono di avere i piedi di argilla e in tanti danno ragione a Gombolay e colleghi: nemmeno l’automa più cretino avrebbe combinato i disastri che hanno portato il nostro Paese ad una simile decrescita.

Twitter @Umberto_Rapetto

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