Gramsci, Togliatti, Berlinguer e Totti. Sono le icone della sezione Pd vicina al mercato di via Orvieto a Roma che Zoro, all’anagrafe Diego Bianchi, usa nel suo film d’esordio, la commedia “Arance e martello” – evento fuori concorso alla Settimana della critica di Venezia 71 – per raccontare la cosiddetta “ggente”, il mondo reale che si rapporta alla politica e alla fine ne esce, come sempre, fregata. Il pretesto per scatenare una mattina (e un pomeriggio) di un giorno da cani nell’afosa estate del 2011 è l’improvvisa chiusura, voluta dal Comune, del mercato rionale di quest’angolo di Roma.

Per i piccoli commercianti, sia italiani che stranieri, sconvolti e inviperiti dalla notizia, l’unica realtà politica a cui rivolgersi è proprio quella sezione Pd in fondo alla strada oramai da anni separata dal mercato da un muro di cemento eretto per permettere i lavori della metropolitana. Solo che per la segretaria di sezione e suo marito, i suoi figli e qualche arzillo vecchietto ex “compagno”, la masnada arrabbiata di pescivendoli e salumieri che suona al portone non è altro che composta da fascisti. Scatta così il voto per stabilire se condividere o meno la chiusura del mercato con un risultato che non è “né un sì né un no”, infine l’occupazione della sezione da parte dei commercianti in un’escalation paradossale tra ironiche frasi a bruciapelo sulla storia politica del Pci-Pds-Ds-Pd, un’inattesa solidarietà tra popolani del mercato e della sezione, sindaco e polizia che caricano gli occupanti citando Pasolini come fossero al G8.

“Il microcosmo sociale di quel mercato l’ho vissuto e osservato tutti i giorni da quando sono nato”, spiega alla stampa Zoro, che nel film si ritaglia la parte di un videomaker che vuole girare un documentario sul mercato e si ritrova a riprendere tutta la giornata di “scontri”, “è una perfetta cartina di tornasole per raccontare l’Italia e i nuovi italiani. La crisi della politica vista dal basso, nei rapporti tra le persone, nei suoi effetti minuti”.

Il richiamo narrativo, dei dettagli di scena, alcune volte persino dei movimenti di macchina e dei parametri scelti per l’inquadratura, si rifanno in modo evidente a “Fa la cosa giusta” di Spike Lee: ma se là il conflitto sociale si sviluppava attorno ad una complicata integrazione razziale, qui nella Roma d’inizio millennio si piange attorno alle ceneri della militanza di sinistra, alla frattura tra potenti e persone comuni, oltre alla solita distanza post ’89 tra i partiti di sinistra e i problemi della “ggente”: “Non sono più militante da tempo, ma la mia militanza politica a sinistra non l’ho mai celata, per certi versi è stata per tanto tempo un vanto che mi inorgogliva”, racconta Zoro, “mentre adesso è un impegno non più invidiato perché poco cool, poco di tendenza”.

Così se le sezioni continuano a vivere e ad essere cuore pulsante del dibattito politico (“mi sono formato lì, rimangono comunque una palestra nonostante il totem del web che non ha risolto nulla”) ecco sbucare l’anomalia Renzi/Pd: “Renzi è un completamento del partito diverso dalla sua storia del ‘900. E poi il grande abbraccio tra lui e Berlusconi è un pippone gigante che non ha dato risultato concreti nella vita delle persone, in quelle dei veri commercianti del mercato rionale del film, sul tema della scuola, dei servizi, ecc… Certo con tutti questi slogan, dai gelati alle armi ai curdi, ai countdown per i 100 giorni di governo, è impossibile starci dietro”.

Ottocentomila euro di budget, 50 copie distribuite in sala dal 5 settembre per “Arance e Martello”, ora per l’autore tv e blogger Diego Bianchi è tempo di nuovi incarichi professionali: “Se il Pd mi chiedesse di candidarmi direi di no. Ho consapevolezza dei miei limiti, mi mancherebbero le competenze”.

Post scriptum: il destino del vero mercato rionale, a cui si rifà il film è ancora sospeso: “Però il pesciarolo si è rifatto il bancone. Probabile che nel suo lavoro intraveda un futuro”.

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