E’ di due mesi la condanna con la condizionale per 55 attivisti di Greenpeace, tra cui 7 italiani, per l’azione di protesta alla centrale nucleare di Fessenheim in Francia dello scorso marzo, come parte di una più ampia protesta che si è svolta in tutta Europa. Sembra sia inedita la rapidità della decisione del giudice del Tribunale di Colmar di assumere una decisione dopo un solo giorno di processo. 

Ma il tema, quello dell’invecchiamento dei reattori nucleari in Europa e, dunque, i loro crescenti rischi, rimane sul tappeto. Da una parte il loro invecchiamento richiederebbe, secondo le analisi di Greenpeace, la chiusura di almeno 36 reattori; dall’altra, le aziende elettriche hanno già chiesto almeno 46 estensioni della licenza oltre i limiti già fissati. In alcuni casi, invece, vediamo che la situazione è così critica che i reattori vengono comunque fermati: è il caso in queste settimane di tre reattori delle centrali di Doel (uno dei quali per sabotaggio) e Thiange in Belgio.

I reattori nucleari, come tutte le macchine, con l’invecchiamento aumentano i rischi di malfunzionamenti e incidenti. E in un Paese come la Francia, la copertura assicurativa è di soli 91 milioni di euro per reattore: una cifra irrisoria se si pensa ai rischi potenziali di un incidente nucleare grave. Nel rapporto commissionato da Greenpeace sull’invecchiamento dei reattori nucleari si riporta una analisi della situazione. E’ possibile procedere a una fuoriuscita più rapida dal nucleare in Europa, mantenendo gli impegni a ridurre le emissioni? Secondo la Roadmap presentata lo scorso luglio da Greenpeace, aggiornata per tener conto degli effetti della crisi Ucraina sul mercato energetico, è possibile.

Secondo le stime presentate dal rapporto, elaborate dal Dlr tedesco per conto di Greenpeace, al 2030 sarebbe possibile portare la produzione nucleare a un minimo, intervenendo in modo massiccio sia con misure di efficienza energetica che sviluppando le rinnovabili. L’aumento dei costi dell’elettricità sarebbe contenuto in 0.7 centesimi/kWh, ma sul più lungo termine ci sarebbe una riduzione legata alle minori importazioni di fonti di energia e al taglio delle emissioni di Co2. I vantaggi sarebbero diversi: minori rischi, minore dipendenza energetica e maggiore occupazione.

Per centrare questi obiettivi occorrerebbero però impegni ben più ambiziosi di quelli oggi in discussione in sede europea per il 2030. Alzare al 40% gli obiettivi per l’efficienza energetica, al 45% quelli per le rinnovabili e al 55% la riduzione delle emissioni di Co2 e rendere questi obiettivi legalmente vincolanti, aiuterebbe quella rivoluzione energetica indispensabile per il futuro del Pianeta. Per questo i nostri attivisti sono entrati in azione nello scorso marzo a Fessenheim, in Francia, e in altre cinque centrali nucleari di altri Paesi europei, per protestare pacificamente contro una forma di energia altamente pericolosa e ribadire un concetto fondamentale: il nucleare, al pari di petrolio e carbone, non è di certo il futuro di cui l’Europa ha bisogno.  

Articolo Precedente

Golfo del Messico: ‘dolo volontario’ e ‘grave negligenza’ di British Petroleum

next
Articolo Successivo

Zanzare, epidemie e allarmismo: la colpa è del clima

next