Non è solo cronaca nera, non è solo cronaca giudiziaria. Per questo ilfattoquotidiano.it ha deciso di aprire sul sito la nuova sezione “Mafie”, che raccoglierà tutti gli articoli e i blog pubblicati sull’argomento. Le sottosezioni sono “Cosa nostra“, “‘Ndrangheta“, “Camorra“, “Sacra corona unita” e “Mafie export” (copyright di Francesco Forgione nel libro “Mafia Export”, Dalai editore 2009), quest’ultima dedicata alle sempre più importanti attività delle organizzazioni criminali fuori dalle regioni “tradizionali”, in Italia e all’estero.

Naturalmente continueremo a seguire le vicende di mafia dal punto di vista della cronaca e delle inchieste giudiziarie, com’è nello stile di ilfattoquotidiano.it, e ad approfondire soprattutto il filone mai esaurito dei rapporti mafia-politica. Ma attraverso le notizie, nelle nuove sezioni cercheremo di raccontare la trasformazione delle mafie in questi anni, la loro crescente mimetizzazione nell’imprenditoria, nelle professioni, nella società, persino nell’antimafia, non solo al Sud. In sintesi, la loro “legalizzazione”, come profetizzava Francesco De Gregori quando cantava “legalizzare la mafia sarà la regola del 2000” (“Bambini venite Parvulos”, 1989) e come oggi cominciano a teorizzare diversi osservatori.

E continueremo a raccontare lo storico rapporto mafia-politica, il più difficile da scalfire. A uno a uno vengono arrestati i boss più potenti e i sicari più sanguinari, ma spesso ad arrogarsene il merito sono proprio quei ministri e quei parlamentari pronti a innalzare barricate quando si cerca di rendere realmente efficace il reato di voto di scambio politico-mafioso. O quando un amico di partito finisce sotto inchiesta per il vituperato “concorso esterno” in associazione mafiosa.

I boss storici delle quattro principali organizzazioni criminali sono in carcere e – per il momento – con scarse o nulle possibilità di uscirne. Spesso la stessa sorte tocca ai loro figli, ai loro fratelli, persino alle loro mogli. Basta pensare a pochi nomi che un tempo governavano letteralmente pezzi importanti di territorio italiano, da Totò Riina a Francesco “Sandokan” Schiavone. Poi ci sono i sequestri di beni e le confische, che ai mafiosi bruciano più degli arresti. Ci sono volute le stragi, la morte di Falcone, di Borsellino e di troppi altri, ma non sono più i tempi in cui Luciano Liggio – il capostipite dei Corleonesi – poteva beffarsi della giustizia cavandosela sistematicamente con l’assoluzione per “insufficienza di prove”. Ecco allora la necessità di acquattarsi tra i “colletti bianchi”, in quell’area grigia dove le connivenze e le protezioni della politica resistono a qualunque scossone, in una perenne e capillare “trattativa”.

I tempi sono cambiati, ma sono cambiate anche le mafie. E raccontarle significa raccontare non solo i crimini di padrini e picciotti, ma un pezzo importante della nostra società.

Mario Portanova è vicecaporedattore di ilfattoquotidiano.it e responsabile del settore inchieste

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