Adesso chiamate i pompieri. Perché l’Italia di Antonio Conte infiamma gli animi con un secco 2-0 all’Olanda, bagnando come meglio non avrebbe potuto il nuovo corso dopo il disastro Mondiale. E lo fa con una sceneggiatura disegnata su misura per alzare i toni. L’antagonista è di livello, terza in Brasile e con nove undicesimi – ma senza Robben – della formazione che ha sfiorato il Maracanà appena due mesi fa. Ci sono 48mila coprotagonisti a far da cornice in un San Nicola affamato di calcio dopo la promozione sfiorata nella scorsa primavera da un Bari storico. E lo stadio abbraccia l’allenatore che per ultimo ha portato i biancorossi in A, tappa spartiacque della sua carriera. Poi, ciak: le scene iniziali sono da capolavoro. Due gol in otto minuti firmati da Immobile e De Rossi, che trasforma un rigore cercato da Zaza. Segna l’attaccante del Borussia Dortmund che in tanti avrebbero voluto accanto (o al posto di) Balotelli nell’Italia di Prandelli; poi raddoppia il centrocampista della Roma, l’uomo che attaccò SuperMario a causa del suo atteggiamento subito dopo l’eliminazione dalla Coppa del Mondo.

Il tocco d’autore lo mette Conte, il più atteso di tutti. Perché nonostante non ci sia il blocco della Juventus (mancano Buffon, Barzagli, Chiellini e Pirlo) la sua prima Italia ha già alcuni tratti dei bianconeri triscudettati. Il modulo, ovviamente. Quel 3-5-2 dove il tecnico leccese – primo ct dell’Italia a vincere all’esordio dopo Zoff, nel 1998 – dovrà trovare le pedine adatte soprattutto sugli esterni. Poi i lanci a cercare il taglio della punta tra i centrali, arnese con il quale gli azzurri aprono la porta di Cillessen dopo neanche 180 secondi. Ed è una costante della prima mezz’ora anche il pressing contiano, asfissiante e compatto, per annebbiare le idee a un’Olanda priva di Robben, non supportata da uno Sneijder al piccolo trotto e in dieci dall’ottavo minuto a causa del fallo da ultimo uomo di Martins Indi su Zaza che mette le basi per il 2-0.

Insomma, il ritorno di Guus Hiddink sulla panchina degli Oranje e il 4-3-3 che ne segue vengono smantellati in poco tempo. Il resto è velluto morbido con il quale fasciarsi per un sogno di una notte di fine estate: Zaza e Immobile che dialogano sfiorando più volte il 3-0, Giaccherini che ruggisce, il pupillo Ranocchia sicuro, l’equilibrio degli esterni che però dovranno diventare più offensivi. Tutto bello, ma l’Italia che verrà avrà altri protagonisti da amalgamare, forse un altro modulo da metabolizzare e anche la prima Nazionale di Prandelli faceva venire gli occhi a cuoricino. Martedì c’è già una verifica seria contro la Norvegia, partita valida per le qualificazioni all’Europeo 2016. Test vero e Conte lo sa, ecco perché nel secondo tempo tira fuori Marchisio (squalificato per il rosso beccato in Brasile) e piazza nel mezzo del campo Marco Verratti, il vice-Pirlo tra quattro giorni per l’infortunio del bresciano e il Pirlo del futuro quando il bianconero deciderà di salutare.

Intanto ci sono grinta, gambe, voglia di sacrificarsi, entusiasmo e nessun rimandato. Non succedeva da un po’ e serviva un’iniezione di fiducia dopo un’estate bollente e una nomina a commissario tecnico dai contorni discussi. Come sempre la Nazionale vincente cancella tutto, diverte ed esalta. Applausi scroscianti, come la pioggia caduta nei giorni scorsi su Bari. Si sente il bisogno di un acquazzone anche dopo il novantesimo per raffreddare l’entusiasmo travolgente. Ha avuto difficoltà a prendere sonno nelle notti che hanno preceduto l’esordio, ora Conte può dormire con meno agitazione: “Mi interessava la risposta dei ragazzi. È stata positiva, li ho visti aggressivi e disponibili. Detto questo lavoriamo insieme da soli quattro giorni”. Almeno lui sa che la strada è lunga e in salita. Ma è anche cosciente che meglio di così la sua avventura non poteva davvero iniziare.

Twitter: @AndreaTundo1 

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